The Father di Florian Zeller, tratto dall'omonima pièce teatrale, ha avuto diversi riconoscimenti e non è un a caso. Un’ opera intensa, che viene trasposta su grande schermo con perfetta efficacia. Chiaro poi che avere un protagonista come Anthony Hopkins che catalizza ogni inquadratura aiuti e non poco ma davvero sceneggiatura e regia sono ottimi. La trovata vincente è appunto poggiare letteralmente le immagini sulla vacillante memoria del protagonista, per far si che la narrazione procede più che a flashback, a punti di vista diversi, a scossoni, puntando sull’ambiguità di certi passaggi e nell’installare e giocare sui dubbi dello spettatore che solo sul finale si rende conto palesemente della drammaticità della vicenda in se, mentre per buona pare del film si avverte palpabile la sensazione che possa arrivare un evento a rovesciare ogni cosa e prospettiva. Ottima scelta, perché i toni si smorzano opportunamente e “il dramma” vero e proprio è demandato a un finale che è anche poetico oltre che doloroso e intensissimo. Il film racconta la storia di un uomo malato e di sua figlia che cerca di prendersi cura di lui, tra badanti, spasimanti gelosi e inevitabili ricordi, il tutto però narrato appunto dalla mente decisamente confusa di Hppkins che fa la differenza. Non è infatti un film sulla malattia, sul rapporto genitori figli, lo è anche, ma è anche una sorta di thiiller, una commedia nera, un carnage, un’ode alla vita.. ecco, un’ode alla vita, ci sembra la frase più appropriata per concludere questa recensione.
"- Mia figlia a Parigi, no no, là non parlano neanche inglese"
Commenti
Posta un commento