“Si muore solo da vivi” di Alberto Rizzi, con Alessandro Roja, Alessandra Mastronardi, Neri Marcorè, Francesco Pannofino, Ugo Pagliai... prova a mettere insieme personaggi e sceneggiatura cari a Paolo Virzì con aneliti felliniani… il tutto in piccolo, per così dire, ma con misura e amore per il cinema. Ne viene fuori un bel film, originale, nonostante le evidenti citazioni (anche Crialese e il suo Mondo Nuovo vengono chiamati in causa in una delle sequenze più riuscite) che rifugge la banalità di una trama apparentemente scontata che gioca però non sul ritmo e sul susseguirsi degli eventi, ma sulle pause e sulle scelte dei protagonisti che giocano a ritrarsi. Un vero e proprio lavoro di sottrazione… in ogni senso e aspetto. Alessandro Roja interpreta uno zio disilluso che ha perso i suoi sogni di musicista e vivei in una baracca nel bosco, Alessandra Mastronardi è il suo grande amore, che sta ormai per sposare un altro a causa principalmente del suo comportamento. Il terremoto, ridisegnerà le loro vite passando a un processo di crescita fino all’inevitabile happy end. Ci soffermiamo poco sulla trama perché il valore del film sta principalmente nel suo voler “fare e farsi cinema” non è cosa… è il come… per intenderci, del resto le storie sono tutte uguali o si assomigliano tutte. Il bello di “Si muore solo da vivi” è da ricercare nei silenzi dei protagonisti, nelle loro pause, nei paesaggi e nei passaggi a livello del paese, nei piccoli gesti quotidiani della vita di provincia e di conseguenza nei sogni, che ci tengono in vita e per i quali vale la pena... morire.
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