"Modir
Min" di Sabrina Napoleone è stato il miglior disco
cantautorale femminile, non è un eufemismo, che ha chiuso l'anno
2017 per aprirne uno nuovo si spera molto florido per la cantautrice
genovese che, in questo ultimo lavoro, osa ancora di più, sia nei
testi che nelle musiche, cogliendo tante sfaccettature, attuali e
non. A raccontarci di "Modir Min", del suo percorso sino ad
oggi, di cosa pensa del settore musicale e di tante altre iniziative
che la vedono coinvolta, è proprio Sabrina Napoleone.
Da "La parte
migliore" a "Modir Min" c'è un filo conduttore che
scava profondamente dentro di te, un percorso di una Sabrina bambina.
Quanti ricordi belli o brutti, rimpianti, ti sei portata dietro per
trasformarli in canzone? Hai imparato dal dolore?
Direi di sì. Ci sono
tanti ricordi belli e brutti nei miei brani, d'altronde non possiamo
fare a meno di portarci dietro il passato, sia quando è felice sia
quando ti lascia qualche lacuna, qualche mancanza. E queste assenze
nella mia infanzia, emergono sia nel precedente disco "La parte
migliore", che nell'ultimo "Modir Min". Qui, in
particolare, affiora un episodio familiare abbastanza grave,
accaduto negli ultimi anni, e che ha dato il La ad alcuni brani, uno
tra questi "Resilienza". Ma si parla anche del presente in
questo disco, perchè si vive nell'oggi e siamo per forza di cose
influenzati da quello che accade.
Già nel disco
precedente ne avevi dato prova, ma in "Modir Min" sei
cresciuta tantissimo. Anche nei contenuti attuali per l'appunto.
L'Occidente di sotto-culture nel precedente album, adesso ha prodotto
anche una sotto-cultura musicale. E fai anche il verso alla trap.
Sì, esatto. Il verso non
solo alla trap ma, più in generale a noi musicisti, come nel
"Business dei Primati". Un prendere in giro alcuni
meccanismi, alcune pose al fine di avere un minimo di ascolto. E' uno
sguardo sul mondo musicale di oggi che vive una profonda crisi, una
crisi che parte da come la musica è stata trattata dalla televisione
prima e da You Tube e dalla rete dopo; la musica è cambiata nella
fruizione, nella capacità dell'ascoltatore di seguire il percorso di
un artista.
Per quanto riguarda la
trap in particolare, per conoscerla meglio, ho studiato quel "mondo"
insieme al produttore Giulio Gaietto e a Raffaele Abbate, che ha
curato e distribuito il disco per la OrangeHomeRecords. Abbiamo fatto
due giorni devastanti di ascolti per vedere come funzionasse. Tra le
varie cose c'era anche "Cono gelato" della Dark Polo Gang
che viene citato. Non mi è mai venuto in mente, e questo deve essere
chiaro, di dire "qua potremmo fare qualcosa di simile a
quell'artista là". Non mi è mai sfiorato.
Come giudichi lo stato
della musica oggi, il fatto che sia fatta da tutti e per tutti senza
distinzioni più tra ciò che è buono e ciò che non lo è. Ma
soprattutto questo indie sempre più mainstream per guadagnare...
L'indie sta di fatto
sostituiendo il mainstream. La differenza essenziale tra le
produzioni di alcune etichette indipendenti e le major sta in un
budget più o meno rilevante che punta sulla cura dell'immagine
dell'artista, sulla comunicazione, perchè a livello produttivo oggi
le nuove tecnologie consentono di avere prodotti altissimi con
investimenti tutto sommato contenuti, non certo quelli che si
facevano 30 anni fa. L'indie ha però dimostrato che, anche a livello
di immagine, può competere tranquillamente con spese un pò più
grosse. Quindi alla fine non c'è più questa grande distinzione a
partire dai contenuti che si sono omologati, non vedo molti artisti
che siano veramente coraggiosi rispetto al grande mondo dei live e
degli album in studio; in pochi riescono a spingersi più in là, a
portare avanti una posizione, un'idea che non sia per forza di cose
confortevole per l'ascoltatore. La musica deve essere sì recepibile
però non c'è scritto da nessuna parte che deve essere un qualcosa
di già ascoltato, di già sentito.
Se anche la musica
indipendente scade nelle tematiche del pop, anzichè puntare su
tematiche testuali e musicali di "rottura", questo vuol
dire che siamo a caccia di una certa benevolenza da parte di un
pubblico che probabilmente non esiste neanche più per come ce lo
immaginiamo noi, noi in quanto artisti. In alcuni casi significa
proprio privarsi del piacere di esprimere se stessi nella maniera più
coerente e onesta possibile. Credo sia questo l'unico vero piacere
che un artista possa e debba avere.
Al di là dei testi,
la tua collocazione musicale è ben definita. Abbiamo parlato più
volte di un cantautorato, anche teatrale ma votato al post punk e
alla new wave. Ma qual è il tuo percorso sonoro...
Sono
cresciuta negli anni '80 e quella cultura l'ho recepita e
reinterpreta così come accade con la new wave. I miei primi ascolti
coscienti, quelli in cui acquisti un disco e lo consumi, quando c'era
ancora un rapporto maniacale col disco fisico, quando volevi sapere
tutto di un artista, della sua vita e della sua musica, sono i
cantautori di razza. Quasi tutti direi. Da De Andrè a Battiato, da
Vecchioni a Guccini, Finardi... li ho ascoltati davvero tutti e con
questo approccio interessato: capire cosa dicessero, approfondire.
Crescendo poi gli ascolti sono cambiati e maturati. Mi sento di dire
che ho iniziato a scrivere nel momento in cui ho imparato a scrivere;
da quando sono stata in grado di tracciare su un foglio delle parole,
delle frasi, ho sempre buttato giù le mie idee. Ho avuto anche una
certa fascinazione per la poesia e nel periodo del Liceo ho iniziato
a scrivere per alcuni amici musicisti.
Quindi
l'approccio con la musica live per me è iniziato tardi, verso i 18
anni. Non avevo mai nè cantato nè suonato, ero solo una fruitrice
della musica. E' iniziata l'esigenza di voler scrivere per me stessa,
scrivere testo e musica iniziando da autodidatta a suonare la
chitarra e a cercare di costruire qualcosa che avesse un senso.
Questo è il percorso che ho seguito sino ad oggi, volta alla ricerca
di un mondo sonoro che fosse rappresentativo di quello che volevo
dire.
La tua con Giulio
Gaietto è una collaborazione consolidata, a cui si aggiunge anche
Raffaele Abbate e la sua OrangeHomeRecords. Cosa hanno apportato
entrambi ai tuoi lavori.
Con
Giulio Gaietto suoniamo insieme dagli esordi. Quando ho iniziato a
fare musica, uno dei miei primi collaboratori è stato lui. Quindi
sono circa 20 anni che lavoriamo insieme con alterne vicende. Giulio
sin da subito, complice la conoscenza, la confidenza, ha avuto la
capacità di capire esattamente quello che volevo dire e ad aiutarmi
a svilupparlo. Oltre al fatto che Giulio è un musicista e produttore
eccezionale, uno dei migliori bassisti che mi sia mai capitato di
sentire ed una persona umile, forse troppo, perchè potrebbe
pretendere di più. Con il produttore della OrangeHomeRecords
Raffaele Abbate invece, la collaborazione è più recente, è
iniziata qualche anno fa con l'album "La parte migliore" e
c'è stato subito un'umana comprensione, un riconoscersi, un
riconoscere un lavoro che aveva bisogno di
essere compreso... Raffaele lo ha fatto. I suoi interventi
soprattutto in "Modir Min" sono stati
importanti in fase di post-produzione. Con lui abbiamo tirato fuori
diverse cose, è stato un ottimo compagno di brainstorming,
al fine di sviluppare delle idee che volevano uscire fuori in maniera
completa.
Sei
stata impegnata nel Lilith Festival con l'associazione che tu con
Cristina Nico e Valentina Amandolese avete creato, generando un
circuito cantautorale femminile interessante. Come è nata l'idea e
perchè avete “scomodato”, tra virgolette, il culto ed il mito di
Lilith.
L'idea è nata dal fatto
che ci siamo conosciute a Genova tanti anni fa. Allora io pensavo di
essere l'unica o una delle due o tre cantautrici di Genova. Invece
eravamo tantissime. Così abbiamo iniziato a collaborare ed è venuto
naturale creare una rassegna in cui invitare le nostre colleghe. Poi
ciò si è allargato ed è diventato un Festival, il Lilith,
chiedendo degli spazi adeguati e riuscendo a mettere in piedi anche
un'associazione culturale che ogni anno realizza dei concerti a
Genova. Ce la stiamo facendo con fatica ma dopo 8 anni siamo ancora
qua.
Il Festival e la
conseguente associazione prendono il nome dal culto e dal mito di
Lilith che a me ha sempre affascinato, tra l'altro una mia vecchia
canzone si intitolava così. Lilith ha attraversato secoli dagli
assiri ai giorni nostri, religioni e celebrazioni, ed è stata
ripresa poi dal Movimento Femminista come simbolo del femminino sacro
che non si sottomette all'uomo ma che matura un percorso di dignità
ed autonomia. Può sembrare qualcosa di esoterico o di femminista ma
vi dirò: beh sì, alla fine siamo femministe, quindi ci sta!
Progetti futuri,
portare in giro il tour dell'album?
Progetti futuri i live
sì, stiamo continuando a girare con "Modir Min" per un pò
di date, reduci come siamo dagli eventi estivi del Lilith Festival,
sia a Genova che a Deiva Marina (SP) e a Bologna con dei "fuori programma". Poi abbiamo un pò di date in preparazione per l'autunno
e per il prossimo anno.
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