“Il Gioco della Sorte”
è l'album scritto e prodotto artisticamente da Francesco Anselmo che
dalla sua Sicilia, da Polizzi Generosa in Provincia di Palermo, è
salpato, è proprio il caso di dirlo, verso la canzone popolare
d'autore. Non solo perchè ha vinto uno dei festival principali quali
il “Giorgio Nataletti” nel 2017, ma perchè gli incontri romani –
da Consoli a Tosca e ad Edoardo De Angelis – lo avranno aiutato a
partorire un disco che, nonostante la giovane età, dimostra una
maturità di scrittura che altri ben più adulti di lui, non hanno.
Anselmo in questo disco snocciola quotidianità, non tesi
sociologiche, ma vita vera, scorci di realtà. Come immortalare il
tempo in un quadro, in una fotografia, in una poesia. Per questo lo
definiamo il “poeta del Combat Folk”, perchè le sonorità
“world” leggere, grazie anche ad un ricco parterre di musicisti,
riescono a trasformare anche le più amare parole in carezze. Come
quelle donate dalle mani ruvide che avranno salutato Francesco quando
decise di lasciare la propria terra. Ma purtroppo il Sud che guarda da
lontano con nostalgia i suoi figli andati via, li respinge ogni
giorno. Più lo ami e più ti respinge... come un vecchio amante...
“Il Gioco della Sorte”:
chitarre elettriche leggere e una batteria beat sorvolano frenetiche
per “girare il mondo tutto in un secondo” e parte con l'amara
ironia: “Un giorno su una strada in salita incontrai una vecchia
rimbambita, le chiesi: scusi qual è il senso della vita? Lei mi
rispose singhiozzando incrociandosi le dita”. La vecchina aveva già
in serbo una risposta che forse al nostro non sarebbe piaciuta...
perchè oggi non si sopravvive, si “sotto-vive”.
“Salmone Noir”:
singolo-live il brano si dipana in un mix di sonorità, di chitarre
ska e di morbidi fiati, dando vita in verità alla forma
teatro-canzone. Come la più nota “Locomotiva” gucciniana, va
veloce come un treno e “taglia l'aria il freddo, mistero della
notte...”. Il pezzo nasce come esperimento all'interno
di Officina Pasolini, un laboratorio di alta formazione sulla canzone
della Regione Lazio. Della serie “Eravamo io, Carmen Consoli e
Drugo...” la cantantessa li invita a scrivere un brano in un tempo
prestabilito. E cosa ti vanno a pensare? “A sagome in ballo nella
nebbia”, a treni di notte, ad un “signor mantello” e una “signora
salmone”. Quando si dice che l'immaginazione non ha limiti.
“Il pittore futurista”:
traendo spunto dalla canzone popolare, con la fisarmonica di Ruggiero
Mascellino che cresce senza fretta, gli arpeggi qui malinconici
mettono a fuoco un quadro di Boccioni, “di torbide alchimie”, di
mari in tempesta, “per vedere i mille occhi tuoi”. E proprio come
un pittore futurista, con un pennello scappare dalle guerre,
ridisegnare il percorso dei popoli, i grandi cambiamenti politici
degli ultimi 15 anni: “Forza che si salpa verso l'alba, le ultime
parole del nocchiere...”
“La Crisi”:
elettriche ska tese, “Ma cos'è questa crisi paraparapappapa”. Ma
cos'è per Francesco Anselmo? “... in qualsiasi direzione sempre la
stessa discussione, ormai così importante che si sente fin da
colazione: chissà se questa crisi passerà ahahahahah”. Il
contesto cambierà? Si chiede il cantautore siciliano? Chi lo sa, nel
frattempo i fiati ed il piano swing lanciano il brano verso un finale
teatrale.
“Il barbiere di sua
figlia”: stropicciando apertamente e senza malizia l'opera
rossiniana, con un chorus molto melodico e le chitarre serrate,
Anselmo risulta molto cabarettistico: “Guarda ma', siamo sempre
alle solite, mi ha rifatto la cofana, da oggi faccio tutto da me...”.
Ma il vero problema è il parrucchiere o noi che abbiamo paura di
cambiare la nostra immagine, come i bambini che vogliono raccontata
la stessa favola? Finale alla “Figaro”...
“Chissà”: un
cantastorie con la 6 corde ancora ska, la brillante fisarmonica
popolare che prende per mano tutta la canzone che parla di terre di
Sicilia, di casa: “Chissà se è tutto scritto nelle stelle e come
andrà a finire, se in questo universo o in uno spazio senza fine...”
o più probabilmente, caro Anselmo, è tutto scritto nella “distanza
di una mano”...
“Ti detti l’anima”:
testo in siciliano, arpeggi eterei “senza ciatu” e la seconda
voce quando fa il suo ingresso dona dolcezza e malinconia: “Lu me
amuri è come un ciuri, quannu vidu u primu suli e si scanta si la
genti nun si n'canta 'a la vista du culuri chi l'ammanta...”,
l'acustica rilascia accordi aperti che avrebbero dovuto essere al
contrario più contenuti. E si termina in armonici. Una musica-stato
d'animo, un connubio nato dall'incontro con l'artista e cantastorie
di Polizzi Generosa, Moffo Schimmenti.
“Sogna Mondo”: brano
ironico, un samba che si muove sulle nostre quotidianità: “Vivi di
riflesso tra il consumismo ed il progresso, troppo elementare qui non
si riesce a cagare senza in mano un cellulare”. Triste e omologata
involuzione dell'era contemporanea evidenziata dalla massiccia
sezione di fiati. La strofa è minimal mentre nel pre-chorus si
accendono i suoni sudamericani. Qui come non mai in questo disco, la
vocalità di Anselmo ricorda quella di Mannarino. Il brano saluta con
una melodia facile ma tutta da ballare, dove il fraseggio della
guitar è un regalo.
“Tre punte”: il
friscalettu è ua scia di navi che salpano, che vanno via e chissà
se un giorno torneranno indietro: “I turisti sedevano sul viale
dell'attesa. Il vino e la pretesa per rompere gli schemi della
prosa...” molto belle ed eleganti le assonanze, davvero funzionali.
Mood irish nel ritornello, mentre le strofe si adagiano sinuose a
simulare una flebile rumba. Un combat folk poetico...
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