C'è chi racconta la fine dei vent'anni e chi ha già superato la soglia dei trenta e prova a descrivere che cosa c'è oltre il giro di boa. Come accade alla Piccola Orchestra Karasciò nel nuovo disco “Qualcosa mi sfugge” disponibile dal 24 novembre per Radiocoop, terza uscita della formazione bergamasca a due anni dal singolo anti-tormentone estivo “Canzone d'inverno” e a tre anni dal procedente lavoro “Apologia”.
Con queste parole la band presenta l'album:
Aspettative mancate, traguardi raggiunti, pugni in faccia, piccole sorprese e grandi resistenze: il tutto mescolato in salsa folk-pop e sigillato dall'immagine firmata dal pittore Angelo Zanella, un gorilla fra il corrucciato e il pensieroso che con occhi vividi guarda davanti a sé ma anche un po' a lato, perché sono tempi di grandi cambiamenti e qualcosa in fondo non torna.
Siamo noi quel Gorilla, la generazione di mezzo (ma di mezzo a cosa poi?), attori non protagonisti di un'epoca in transizione accelerata, precari nella vita prima ancora che nel lavoro, incerti sul futuro quanto sul presente e con un bel po' di domande a cui dare una risposta. Domande che sono la testimonianza del nostro essere vivi, del nostro rimanere qui e pure del voler fuggire da qualche parte al riparo.
Di questo cantano i brani scritti in un periodo di tempo piuttosto ristretto da Paolo Piccoli . Canzoni poi affidate al resto dell'Orchestra, che fra chitarre elettriche e acustiche, fisarmoniche, bassi e batterie ha trasformato queste undici piccole grandi riflessioni cantabili (e ballabili) in altrettanti episodi all'insegna di un suono che bilancia e controbilancia dosi ingenti di folk ruspante e scampoli pop a presa rapida.
E' nuovo l'approccio della Karasciò in “Qualcosa mi sfugge”: sempre dinamico e sudato, ma anche più ricercato in certi passaggi e con alcuni allargamenti strumentali (synth, archi, fiati) che diventano dettagli significativi. Ciò accade grazie alla collaborazione con il produttore piacentino Giancarlo Boselli, mentre la parte del mastering è stata affidata ad un nome che non ha bisogno di presentazioni quale Ray Staff, all’AIR Studios di Londra.
Nasce così un lavoro capace di narrare quel qualcosa che sfugge quando non ci sentiamo mai del tutto adeguati dinanzi all'impossibilità di dare un senso a tutto quanto accade. Ma qualcosa sfugge anche nell'istantanea intuizione della tremenda bellezza del mondo, quello stare in pace con il tutto che ha un sapore spirituale (non religioso, spirituale) e ci attraversa come un brivido buono e caldo, per poi scomparire appena proviamo a comprendere che cosa è.
E allora, a quel punto, non rimane che cantare. Perché “A canzoni non si fan rivoluzioni” ma si possono cambiare le persone. Ed è nel canto che cerchiamo una “Luna” quale isola felice al riparo dalla frenesia. Per poi smuovere chi critica e critica ma alla fine sta sempre sul divano con il “Telecommando”. Tanto il divano non ci terrà al riparo quando dovremo fare i conti con “Il nodo” che tutti ci coinvolge. E dunque conviene cominciare già ora ad amare le piccole gioie quotidiane, allo stesso modo di chi “Respira” e desidera essere “Come mamma mi ha fatto”. Oppure è il caso di ribadire il proprio “Resisto” contro l’individualismo, la competizione e la povertà di contenuti. Ché in fondo la vita non è una “Tabula rasa” dove il dolore e le bestialità peggiori verranno cancellate, ma è un flusso di scelte, esperienze, occasioni, persone, ricordi che arrivano quando “Passa il treno”. Su quel treno possiamo esserci oppure no, in ogni caso non ci rimane altro che cantare. Cantare il nostro essere piccole cose in un mondo infinito. Forse alla fine è questo ciò che non dovrebbe mai sfuggirci. Che siamo “Briciole” fragili, ma capaci di cantare.
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