“Zanin” è il cognome di Margherita, cantautrice di Savona che mastica il blues sin
da giovane e che è più a suo agio con certe sonorità
internazionali. Destreggiandosi tra brani in italiano e brani in
inglese, nel complesso è un lavoro che non dispiace. La voce di
Margherita Zanin è particolare. Non tanto nei toni quanto nell'uso
classico della vocalità che riesce a toccare punte rock. Forse
abusare del soul e dei cori gospel non è un bene, perchè fa un po'
piegare il disco su sé stesso, ma capiamo che è una scelta, visto
l'amore "improvviso" per il gospel scoperto negli anni londinesi. Una
scelta che poteva però essere dosata meglio. Il disco è stato
pubblicato dalla neo etichetta indie Platform Music con la produzione
di Roberto Costa. Che ci sia lui dietro alcuni nomi come Dalla,
Stadio e Carboni non è un caso. Perchè il piglio del rock italiano
in “Zanin” viene fuori per forza di cose.
“Piove”:
inizia con quello che sarà il secondo singolo del disco, è piove
davvero, una 6 corde arpeggia leziosa. Pezzo intimo, quasi ambient in
certi passaggi pre-chorus... poi il ritornello svela sapori
sudamericani su cui si adagia la vocalità con impronte di lirismo
sui bassi ma graffiante, un mix molto interessante: “E gocciola, il
muro gocciola finestre chiuse, vorrei dormire. Ma da quando ci sei tu
sorrido, ma da quando arrivi tu io vivo..”
“Generale”:
cover e singolo per la Zanin, l'intro melodioso e mieloso non è
funzionale per il pezzo di De Gregori che, suo malgrado, è
inflazionato. Sicuramente il rifacimento è inedito rispetto ai
precedenti con le chitarre e la ritmica molto suadente e soul nei
cori. Il riff storico qui è cantato da vocalizzi: “Generale queste
cinque stelle queste cinque lacrime sulla mia pelle che senso hanno
dentro al rumore di questo treno che è mezzo vuoto e mezzo pieno e
va veloce verso il ritorno...”
“Feeling
Safe”: un pop con testo english, cantato bene ma senza forza, con
le chitarre allegre e la sezione ritmica che entra nel chorus.
Qualche nota dell'elettrica non può che donare colore. A convincere
di più sono gli archi anonimamente distorti. Ma anche qui,
soprattutto nella seconda parte, la voce della Zanin tende al soul.
Aperture poco convincenti.
“I
must forget”: arpeggi nevrotici si muovono nell'atmosfera dark dal
respiro più internazionale. La batteria avrebbe potuto essere più
incisiva e approfittarsi di queste sonorità molto rock con l'assolo
assassino... da non “dimenticare”...
“Travel
Crazy”: in pieno rock anni '70-'80, dove la nostra potrebbe essere
l'alter ego di Axl Rose senza scherzi. Il brano ha una costruzione
semplicistica ma molto grintosa e tutta da ballare.
“You're
better out”: “It's a rainy day on my window” e difatti si
vira verso il malinconico... sembra che continui a piovere da quella
finestra. Un pop arricchito ancora una volta da cori quasi gospel (e
c'è una spiegazione solo nell'ultima canzone) ma è troppo debole...
“Joe's
Blues”: Margherita Zanin torna a delle sonorità familiari per lei
che il blues l'ha masticato da giovanissima. E il risultato si
vede... folk on the road, riff di elettriche piacevolmente sensuali,
banjo timido e voce grintosa. Un brano però che sa anche prendersi
le sue pause ed esplodere in assoli old school. Pur non cercando il
blues perfetto è sicuramente il miglior brano del disco.
“The Lord Coming Home”: questo
brano in realtà spiega tutti i precedenti. Soprattutto spiega l'uso
e abuso dei cori gospel. Margherita entra in una chiesa a Londra ed
assiste all'esibizione di un coro tipico. Un segnale di benvenuto che
finisce per segnare questo disco. Ci sono delle sfumature
interessanti ma il brano non decolla. Il finale svela “la mano”
del suo produttore abituato al rock pop italico, ma certi suoni
rischiano di essere stantii.
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