Claudio Lolli ritorna con “Il grande freddo”, un album ispirato al celebre film del 1983 di Lawrence Kasdan. Nove canzoni che scorrono fintamente rassicuranti, per quella capacità che hanno le parole di colpire, di arrivare dove devono, cullate letteralmente da armonie e melodie soavi che trasportano l’ascoltatore. Non sempre a dire il vero la magia riesce, anche perché il nostro raramente apporta novità alle trame sonore e il modo di cantare “confidenziale” non aiuta in tal senso. Ma stiamo parlando di Claudio Lolli signori, e in questo graditissimo ritorno c’è tutto quello che ci aspettavamo: poesia in primis e scenari, scorci, lunghe sequenze e brevi inquadrature… il tutto a fare un mondo:
“Il grande freddo”: “E quanto amore sprecato negli autobus, tra gente che potrebbe volersi bene, perché siamo tutti umani e mortali nella natura e nelle sue catene” minimal e poetica, per voce, pianoforte e pochi orpelli che trova sbocca nei soli di sax
“La fotografia sportiva”: Ispirata da Roberto Serra, è una delicata ballad folk che procede circolare senza scossoni: “Eccola qui, ecco che ci proviamo a darci una mano, a sapere chi siamo, negli occhi il ricordo di un futuro lontano”
“Non chiedere”: in questa ballad è la nostalgia/malinconia a farla da padrone, bello e intenso il testo, meno la melodia, che nel ritornello è sin troppo scontata nel suo dipanarsi: “Ed il fatto è che io non sogno più e dovrei perdo il tempo come se avessi i fatti miei non sicuro che alla stazione passerà la rivoluzione con un treno già tutto pieno di amici miei ma il fatto è che io non sogno più e dovrei”
“400000 colpi”: “e si vive per sempre insieme e si muore sempre da soli come quando arriva al mare Jean Pierre Léaud” filastrocca con sonorità alla Procol Harum inevitabilmente di stampo cinematografico sin dal titolo che richiama Truffoaut e il suo Antoine Doinel
“Sai com’è”: Lettera postuma del partigiano Giovanni alla moglie Nori – nome di battaglia Sandra “basta poco all’amore purché sia tenerezza” intensa cantilena ben arrangiata con parole poetiche, apparentemente lontane ma "dolorose e fiere"
“Gli uomini senza amore”: gradevole bossa con un testo però non eccelso: “Gli uomini senza amore sono dei fantasmi al mondo he chiedono all’improvviso un rumore più profondo”
“ Prigioniero politico”: il brano racchiude in se per certi versi le tematiche affrontate nell’album: “E non importa se è un gioco di carte oppure un racconto fantascientifico ma in questo mondo io sono un prigioniero politico” coi fiati in evidenza nel primo strumentale mentre è la chitarra elettrica ad ergersi protagonista nella seconda, uno dei migliori brani del lotto.
“ Principessa Messamale”: “Guarda il mondo com’è cambiato quello in cui abbiamo tanto creduto e il futuro com’è passato senza chiederci neanche un minuto” ennesima ballad costruita però come si deve e non banale dal punto di vista melodico
“Raggio di sole”: ottimo reading che spicca decisamente all’interno del lavoro: “Rambo non poteva essere morto, né sognare: era un cane, molto meglio di noi dunque.” Altro apice dell’album.
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