Dopo
aver vinto “Musica contro le mafie”, il Premio Parodi ed essere
stati finalisti al Premio De Andrè, i siciliani Pupi di Surfaro
– ovvero Totò Nocera (voce e percussioni), Peppe Sferrazza
(basso), Pietro Amico (batteria) – sfornano un disco più maturo.
In “Nemo Profeta” i testi sono sempre combattivi, senza
giri di parole: canzoni per la guerra, per l'immigrazione, per il
Sud, per “chi è morto per amore”, per “la malvagità degli
uomini”. Un disco contaminato, dove il folk si sposa con
l'elettronica, dove quasi sempre la forma canzone viene
irriverentemente derisa ed è un bene per questo lavoro. Nel sound si
poteva osare, ma è ovvio che i Pupi di Surfaro puntano alla forza
delle parole. E a lavori come questi non puoi chiedere altro. La
Sicilia, la poesia, la Bibbia, l'inglese (non dite “che c'entra”),
l'Africa, i canti sardi, confluiscono in questo lavoro senza troppe
cerimonie. Il caos non è dentro, il caos è fuori. E la nostra
Patria ripudia i suoi figli. Un invito a non piegarsi, a non
umiliarsi. Il disco è stato arrangiato, registrato e mixato da Aldo
Giordano.
“Li
me' paroli”: “Li me paroli su bumme” cantano agli “schiavi
della globalizzazione”, su cui si adagia un cacofonico
elettro-folk, con un basso cupo che segna in maniera forte la
ritmica. Finale con citazione “dance”...
“Quannu
Diu fici a tia”: “Popolo armalo schiavo di li so vizi, spreca
inutilmente tutti li so biddrizzi”, atipicamente folk, ritmica e
vocalità alla 99 Posse, il brano è un omaggio al poeta nisseno
Bernardino Giuliana.
“Kicking
the donkey style”: se le culture del mondo possono unirsi, anche
quelle più diverse, è qui che il gioco è fatto. Tarantella e
marranzano pressante, onomatopeicamente sembra ripetere questo
scioglilingua english. La forza del brano, anche se molto ripetitivo,
è inarrestabile, non abbiate “i paraocchi”. Come afferma la band
il progetto è nato dall'ispirazione di Davide Urso dei “Beddi”.
“‘Gnanzou”:
dall'Europa all'Africa, perchè la Sicilia è terra di mezzo:
“Aspittamo ca lu suli sorgi, chi la notte è scura e funna...”,
suoni elettrici e ancora una volta cupi, come il mare in tempesta,
come la mattanza e le cialome dei tonnaroti che recitano: “gnanzù
nzou, putiri, gnanzù nzou zza, ancurari, gnanzù nzou zza, Diu nni
scanzi”. La presenza del musicista senegalese Jali Diabate segna
l'attuale mattanza nei mari di Sicilia, ma questa volta non si tratta
di tonni, ma di uomini.
“Ruzaju”:
nel ricordo di Andrea Parodi, Rujazu
è un suo brano reintepretato nella forma ballad destrutturata,
tetra, ma col cuore, con l'anima rock: “E
poi dîàn in gìu che nu l'è vêu, che u fètu che dixan l'atri
non è ciϋ nêu. Quandu vegnàn e me ne purtiàn da chì, nu
sajà pe mì, sajà pe tì. U l'è u mè cantu. U l'è u mè
cantu”...
“Soldatino”:
intro alquanto dub, drums troppo secche, su
“soldatino spara” sarebbe stato meglio sporcare di più, andare
di distorsioni; la vocalità di Nocera ha sfumature caposseliane.
“Per
amore, per la libertà”: un altro punto di vista rispetto al brano
precedente. Al soldato si oppone il partigiano, il ribelle: “Spero
che esista un mondo dove gli angeli volano di giorno, spero che
esista una terra che per fare pace non ci vuole la guerra”... intro
di suoni sospesi, poi le incursioni elettroniche spaccano in due
quello che in realtà di fondo, melodicamente, è pop.
“L'arca
di Mosè”: non è un errore. E' proprio Mosè e la “parabola” è
stata scritta da Rosario Palazzolo rivisitando i passi della Genesi:
“Diu di li madonne, Diu di li buttane...” perchè questa vita è
tutto il contrario di tutto, dove una verità univoca non esiste. Ma
in molti sono convinti che ve ne sia una: la loro. Sound molto
freddo...
“Soffio
dell'anima”: tenebre... “duluri”... “sudori”... “terra
che bruci, arduri... amuri di pani, amuri di fami... amuri è amuri,
amuri e basta”... è una ballad ma la formazione rompe con la
tradizionale strumentazione folk.
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