Era atteso "Love Life Peace" di Raphael Gualazzi. O forse c'era attesa. Perchè uno come lui, che si è sempre ben presentato sia al Festival di Sanremo sia su altri palchi più importanti, attirando le buone impressioni della critica, ha sempre dato molto e si è dato molto. Adesso approda a questo ultimo lavoro non in maniera dimessa ma solenne, in pompa magna, con un album ricco, sia vocalmente che strumentalmente... ridondante è la parola giusta. Nulla si può dire ai suoni ben equalizzati, puliti, forse troppo. Ed è questo uno dei limiti del lavoro, si cerca una perfezione non richiesta. Abbandonate le sonorità più pop jazz, si vira verso un soul anni '70, con qualche sfumatura elettronica, senza tralasciare un certo sound pop che strizza l'occhio al made in USA. Troppo testo in tutti i brani che prediligono le note in maggiore, è ciò non fa che comprimere le canzoni che non respirano, risultando spesso asmatiche. Il pianoforte di Gualazzi poi, poteva essere valorizzato maggiormente perchè sta lì la forza dell'artista più che nella vocalità tirata, nei falsetti onnipresenti. Peccato anche per quel "Mondello Beach", un errore, una vera e propria nota stonata all'interno del disco.
“All alone”: soul che scorre sul
piano di Gualazzi, con una sezione ritmica ricca ed i cori celesti,
pezzo musicalmente ridondante: “All alone... again...”
“L'estate di John
Wayne”: “Torneranno i Cinema all'aperto e riti dell'estate, le
gonne molto corte, tornerà Fellini un giorno farà un film soltanto
per noi”, il primo singolo estratto o meglio "il tormentone" il primo per il nostro, ha una bella melodia, che specie nella strofa ricorda Franco Battiato, i fiati
allineati a dovere e poche pretese. “Quello che resta del sole te
lo porto a casa, stasera ho voglia di cantare, di gridare e poi
ricominciare. Quello che resta da dire lo diremo domattina, stasera
ho viglia di cantare, di gridare in riva al mare...”. Il bridge è
molto Jackson 5...
“Mondello Beach”: a
metà strada tra Mambo Italiano versione sicula, in un ritmo più
tarantella pugliese, facendo il verso a un Concato-Dean Martin, Gualazzi toppa incredibilmente. Uno perchè lo stereotipo di
quella Sicilia, di cui conserva in parte la tradizione, è finita da
tempo; secondo perchè sembra un tentativo un pò ruffiano, vestito con l'abito buono di trombe e tamburelli.
“Say I Do”: un altro
flebile soul, ancora una volta con troppi orpelli musicali, dove il
piano viene poco valorizzato e gli echi sono eccessivi, così come il
finale che procede a marcetta per tirare la carretta e Gualazzi. Per un pezzo così sarebbe più appropriata una voce alla Dionne Warwick.
“Buena fortuna”:
bossa che non spinge fino in fondo, con la voce di Malika Ayane: “Buena suerte, buena fortuna, a chi sceglie
l'alba per andar via...” che comunque dona il giusto piglio al
brano che gode di bei fiati, una bella sezione ritmica che avrebbe potuto
trovare più spazio, così come poteva starci anche un assolo di piano ancora più
ficcante ed infatti il finale è decisamente la parte migliore del
pezzo.
“Lotta things”: pop
nevrotico, che in realtà vorrebbe suonare country, con piano
zompettante ed il falsetto di Gualazzi sempre presente all'appello.
Troppo. Non c'è via di scampo all'immaginazione...
“Quel che sai di me”:
fiati stanchi prendono per mano il pezzo, dal chorus 007, suadente,
che per la prima volta cerca di non strafare almeno musicalmente, ma
il ritornello è a perdere fiato ed il risultato è questo: “Sopra
questa notte che sta passando, sopra tutto quello che abbiamo perso,
dentro questo cielo con poche stelle, sopra di te sulla tua pelle,
sulla tua bellezza quando io ti spoglio, sotto questo torbido mare
immenso, sopra tutto quello che sai di me, che voglio solo morire un
pò”...
“Right to the Dawn”:
intro di piano ipnotico e batteria, quest'ultima fa davvero un buon
lavoro, peccato che il tutto si sviluppa in un chorus di falsetti allegrotti.
“Splende il mattino”:
intro jazzato, dove la fantasia sui tasti può liberarsi da certi
vincoli precedenti. Nel ritornello, Gualazzi mima un leggero soul
d'antan, dove ancora una volta gli archi risultano essere traboccante. Il
pezzo cerca lì un'evoluzione ma al contrario è noioso: “Solamente
tu, mi guardi e tu mi spogli l'anima...”
“Figli del vento”: i
tasti spingono, il piano cerca d'imporsi e, a parte l'intro, poteva osare di più. Melodicamente è intrigante rispetto agli
altri brani, infatti gli archi vengono misurati: “E vivrai forte
come sei, diva del turbine sarai e vedrai tutti i sogni miei...”.
“Disco Ball”: sulla
falsa riga del brano presentato nell'ultimo Sanremo, il basso funky è
interessante, peccato che un brano così poteva e doveva essere più
“sporco” invece si allinea alle produzioni americani del genere.
Resta comunque intrigante.
“Love Life Peace”:
atmosfere pop sospese, ancora una volta un testo english, sì
delicato, con le tastiere che creano riff melodici...
“Pinzipo (bonus
track)”: simpatico siparietto, di clap heands e fiati, molto belle
epoque ma nient'altro.
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