"Forze elastiche" è l'ultimo lavoro in studio di Fabio Cinti. Registrato presso l'etichetta da lui fondata, la MARVIS LabL, con la produzione esecutiva di Pierpaolo Fabbriccini e quella artistica dell'amico Paolo Benvegnù, l'album risulta molto pretenzioso. Il cantautore che non è certo al suo debutto e che ha già bazzicato in certi ambienti (da Morgan a Battiato), doveva porsi l'obiettivo di "andare oltre"... ma fare il passo più lungo della gamba spesso non paga. L'album si presenta come diviso in due parti, ma non con due anime, quelle che dovrebbero rappresentare l'artista. Una parte molto elettronica con suoni studiati ad hoc ma decisamente vecchi ed una più rilassata e cantautorale. Il disco si divide anche musicalmente nello specifico: se da un canto non convincono i synth e la vocalità di Cinti, dall'altro gli archi dei musicisti "invitati" per l'occasione, fanno un buon lavoro. Ma "Forze elastiche" rivela altro, si appoggia ad altro. L'influenza che Cinti ha subito da Franco Battiato non è citazionismo né eredità, è solo molto pesante. Il disco non ha un filo conduttore: a brani in cui si attacca il buonismo di un noto cantante in particolare, si passa all'impegno nel ricordo di Pasolini e a testi in cui ci si serve della poetica. Gli intermezzi poi, in generale, non aiutano molto. Cinti in questo lavoro non si lascia trasportare dalle emozioni e di conseguenza non lo lascia fare all'ascoltatore. Sembra un disco studiato a tavolino ed è un peccato.
"Io Milano di te": suoni campionati,
freddi come il capoluogo lombardo, melodicamente caotici come il traffico nelle ore di punta: “Io sono il lupo che
vedi dietro gli occhiali di questa città, sono il lupo dei cani
sulle vette di vetro...”, la seconda parte si arricchisce di un
violoncello che crea dinamiche sinistre...
“Mondo in vetrina”: realtà digitali
ricostruite attraverso synth d'antan, ma è un basso "strappato" a dare il benvenuto: “Questo è
soltanto il sogno elementare di un'altra più passata realtà”... la voce di Cinti è impostata alla Soerba. Finale nevrotico
con la batteria di Modini.
“La gente che mente”:
sezione ritmica e pianoforte come passi: “Dove sei stato? Perchè
non sei tornato? Eri convinto fosse tutto semplice, eri convinto che
fosse tutto per te”... voce troppo effettata nella strofa, a coprirsi bene. Nel
chorus la ballad alla Battiato è armoniosa e malinconica, un dolore
flebile ma perenne quello di Cinti, come la sua litania in
sottofondo...
“Intermezzo – Fenice
Gravitazionale”: … e si gioca con i suoni programmati come intro
al successivo...
“Perturbamento”: “E
dici si a tutte le amicizie, alle proposte alle prove più difficili,
il mondo intero ti sembra provvisorio”... ritmica molto pop
cantautorale, vocalmente e non solo c'è qualcosa alla Bianconi,
Cinti si finge un trasformista e gli archi giocano con lui e il suo
turbamento di fronte a un sorriso precario...
“Quadriglia”: synth,
sentimenti robotici e archi nevrotici non fanno altro che rendere il
pezzo asettico e pecca anche nei riverberi delle elettriche che sì,
vogliono tracciare l'omologazione, ma non riescono: “Che
bello che nel buio vi sia uno fecondo di pensiero e voce ferma, che
ci governa...”
“Intermezzo –
Popoli”: archi e voci da un grammofono...
“Che cosa hai fatto per
meritarti questo”: ancora suoni elettrici e frenetici e una domanda
a cui non ci si dà pace: “Tu se non sei buono sei il più cattivo.
In un crogiolo di buoni sentimenti dovuti all'immenso sorriso del
cantante Lorenzo Cherubini paladino di bontà multirazziale, vuole
fare il Tommaso Campanella sul Sorrisi Canzoni Tv spinto da tensione
cristiano-comunista”... un attacco in piena regola a Jovonatti con
tanto di citazione da “Che Guevara a Madre Teresa. E allora Jova,
tu, cosa hai fatto per meritarti questo? Per essere un animale da palcoscenico? Attacchi un pò gratuiti? “Che sia Barabba
presidente del Consiglio”.
“Intermezzo –
Firmamentu”: inquietante inizio con cori della tradizione
folklorica
“L'isola”: sin
dall'intro si risente l'influenza all'eccesso di Franco Battiato con cui
peraltro il nostro ha collaborato e il violoncello di Famulari non
lascia alcun dubbio in merito, così come “le stagioni”, quelle
“dell'amore” come le chiama il maestro siciliano, che proviene da
quell'isola che dà, guarda caso, il titolo al brano: “Senti l'aria d'inverno che passa e si porta via i
brividi, i tuoi occhi hanno rotto un incanto, hai sconvolto il mio
spazio e il mio tempo”... La Cura docet...
“Come Bennett”: “Mi
sono sempre chiesto come Bennett perchè Gesù non ride mai se non in
quelle immagini recenti dove quasi sembra uno yankiee”... forse
Cinti si riferisce ad un articolo apparso su High Times dove si
teorizzava sulle proprietà guaritrici del Cristo, fatto sta che si
tratta di una ballad tutta chitarre e slide stanche, sin troppo...
“Non è facile a
dirsi”: l'effetto "noise" iniziale non comprime questa volta la melodia
sorretta dal tappeto di synth e dalla voce di TheNiro:
“Trasparenti come vetro assorbire i colori di un mondo che non è
più penosamente tondo”...
“Wait for the Winter”:
acustiche si affacciano all'inverno dei sentimenti e in questo brano in cui la mano del suo produttore Benvegnù si risente
maggiormente. Qui, la voce di Irene Ghiotto, l'artista del “pop simpatico”.
“Son tornate a fiorire
le cose”: violoncello e pianoforte senza abbandonare i suoni
campionati, buona ballad, con Benvegnù seconda e profonda
voce: “Sono le cose disposte a tornare sullo stelo scalando le
foglie dei dolcissimi miei desideri...”
“Intermezzo – A. M.”:
voce distorta ma inequivocabile:
“Voglio
dirvi cosa abbiamo perduto, noi suoi amici, voi altri, e tutto il
popolo italiano. Abbiamo perduto innanzitutto un uomo profondamente
buono, mite, gentile, dall’animo portato ai migliori sentimenti, un
uomo che odiava la violenza. […] Abbiamo perduto un uomo
coraggioso, la cui diversità consisteva nel coraggio di dire la
verità. Abbiamo perduto un testimone diverso, che cercava di
provocare delle reazioni attive e benefiche nel corpo inerte della
società italiana. Abbiamo perduto […] un elemento prezioso di
qualsiasi società. Abbiamo perso un poeta, e di poeti non ce ne sono
tanti nel mondo, ne nascono solo tre o quattro dentro un secolo.
Quando sarà finito questo secolo Pasolini sarà tra i pochissimi che
conteranno come poeta”. Sono le parole che Alberto Moravia disse di
Pier Paolo Pasolini.
“Cadevano
i Santi”: con la stessa drammaticità del precedente, Cinti e Nada
entrano in scena: “Se solo mi lasciassero parlare sai quante gliene
direi, al limite una sola bestemmia...”, canzone “anarchica” su
un manto di sintetizzatori che poi sul finale danno vita ad un assolo di
elettrica che è una ferita mai rimarginata...
“Il
lamento di Peter Parker (dalle cime dell'Empire State Building)”:
piano e ritmica pop elettronico, “Essere e superessere”, due
anime di un uomo sempre più supereroe: “Io sono le due facce dell'amore che vuole, non
vuole, vorrebbe...” ma è un pezzo che scivola via...
“Intermezzo
– Uscita”: … suoni metropolitani...
“Paure
come cose”: ottimo lavoro di Carcano con gli archi, ben dosati: “Dal mio cielo sotto il tetto il sogno di
qualche sera fa sostiene il paragone tra la vita e il racconto...”, testo poetico molto misurato.
“Biko”:
reinterpretazione minimal del noto brano di Peter Gabriel dedicato
all'attivista sudafricano anti-apartheid, piano e violoncello e poco
altro per fare una più che buona cover.
Terre elastiche?
RispondiEliminaMa cos'hai ascoltato?
Perché il disco si intitola in un altro modo ed è un capolavoro.
Ma d'altra parte se Paolo Benvegnù ha prodotto un cantautore come Cinti, cosa non facile, il risultato non poteva che essere questo.
Abbiamo corretto grazie . Per il resto rimangono gusti personali
RispondiEliminaPrego.
Elimina(E' proprio quello il punto, che una recensione non dovrebbe basarsi sul gusto personale, se non a margine. Tra l'altro non trovo sensata neanche la questione dei "suoni vecchi", cos'è un suono vecchio? quello di un sintetizzatore anno ottanta che semmai è vintage? di una chitarra? di un pianoforte, di un violoncello? semmai è un fatto di stili... ma vabbè, i recensori siete voi!
Bella però la scoperta della voce di Moravia a cui non ero risalito - e che mi fa amare ancora di più questo capolavoro!)
Per "gusto personale", va specificato, intendiamo il contemperamento di elementi soggettivi e oggettivi.
EliminaComunque ci piace molto il confronto.
Saluti