Terzo
al Festival di Sanremo, Ermal Meta si presenta col disco solista
“Umano”. L'ex voce de “La Fame di Camilla” ha scritto negli
ultimi anni famose hit dei più noti cantanti pop italiani.
Ah, allora è sua la colpa, ci verrebbe da dire, perchè solitamente
un paroliere nei suoi lavori non è mai clemente. Eppure Ermal è
l'eccezione che conferma la regola. Per il vero ci aveva già
convinto come frontman e qui mette su un disco che non è impegnativo
o meglio, non lo fa pesare anche se si interroga sui tanti sensi
della vita, l'amore, la perdita, il dolore, le generazioni in cerca
di futuro, gli ostacoli che cercano di piegarti, sono “schegge”,
“lettere” fendenti, “favole” da raccontare a chi non vuol sentire la verità. Noi la vogliamo raccontata da Ermal che, lo
possiamo dire, spazza via con un solo colpo tutto il “commerciale”
che gira in radio e a cui lui stesso ha messo una firma. Vale di
più, molto di più con questa voce dalle sfumature angeliche che serena e leggera canta anche
testi che sono macigni come “Lettera a mio padre”.
“Odio
le favole”: un pop elettronico per quello che è il brano che Ermal
ha proposto al Festival di Sanremo e che su disco sinceramente
apprezziamo di più senza troppa parte orchestrale, un chorus
davvero trascinante, un ritmo velocemente perfetto e la voce del
nostro biascica sensuale: “E non ricordo come mai non ci sei più,
ti manco e non lo so, mi manchi e non lo sai...”. Finale molto divertente: "Mi hai strappato l'amore di bocca, ma ogni tanto una stronza ci tocca!".
“Gravita
con me”: l'intro spaziale anni '80 non potrebbe esprimere meglio il
senso... semplicemente: “Gravita con me, gravita con me è l'amore
quello che ci manca, gravita con me, gravita con me è l'amore quello
che ci salva... ma sono solo scuse lo sai?"... non ci sono reali
variazioni ma il pezzo tira!
“Pezzi
di paradiso”: “Non è possibile capire da dove veniamo, è sembra
quasi un incantesimo il nome che abbiamo, non è solo d'amore non è
solo di vita, mi serve un pieno di speranza ma non ho una lira...”
synth pop ed ancora giù di '80 e melodicamente si apre nel
ritornello. Qualche arco arricchisce debolmente...
“A
parte te”: un sospiro ed un piano, squarci lontani, “moto che
passa come pensiero di fretta”. Poi entra in loop la batteria, dal
sapore Mauro Ermanno Giovanardi. Nella seconda strofa le chitarre
entrano insieme agli archi in un crescendo strumentale su un
malinconico testo: “Sempre sarai nella tasca destra in alto, in un
passo stanco dentro un salto in alto che mette i brividi, sempre
sarai in un sorriso inaspettato o in un appuntamento con il mio
destino”... un bel brano, commovente, “l'eccezione di un
difetto”...
“Umano”:
chitarre acustiche dal sapore british: “Umano troppo umano forse un
po' bevuto se vomito parole poi pulisco tutto, mi pento del peccato
di ogni mio respiro ma almeno se respiro posso dirmi vivo. Cerco il
mio futuro gli occhi di qualcuno, uno centomila non c'è più
nessuno. Chi ti rompe i denti è per sentirsi duro, chi ti ruba il
pane è per sentirsi furbo” è questo il ritornello sviscerato,
emozionale che nella seconda parte si schianta su un bridge
tiratissimo.
“Volevo
dirti”: ritmo new wave, basso in evidenza, “pochi padroni” e
per forza di cosa metti su un pezzo che funziona: “Le
guerre dei pochi le combattono in molti ma noi siamo quelli che il
cielo è sempre più blu”,
citando Gaetano... fiati d'antain nel finale di un'Italia, al
contrario, molto attuale: “Le benedizioni e le informazioni, da un
attico in centro le senti un po' di più... “
“Bionda”:
elettriche e synt e la voce di Ermal con quell'accento esotico
e suadente, il pezzo è molto veloce, un gioco, un testo leggero e
senza pretese: “Bionda chiunque s'innamora, ti arresterei per
quell'eccesso di bellezza”...
“Lettera
a mio padre”:
già rilasciato come singolo nel 2014, il pezzo più
semplicisticamente pop - spogliandolo della sua
ritmica, dell'elettronica, potrebbe sembrare un brano di
Tiziano Ferro - gode però di un testo che regge benissimo, parole dure nei
confronti del padre, di fuoco che, crediamo autobiografico, fa venire la
pelle d'oca da quanta tristezza c'è dentro: “Poche rughe di
espressione, più nient'altro di te sopravvive di me, un cognome da
portare solo questo sarai, né mai più mi vedrai... sulla schiena
trovi cicatrici è lì che ci attacchi le ali...” il ponte è uno
spazio-tempo sospeso tra synt, clap heands ed una grande sensibilità
nella voce di un bambino che gli fa il verso...
“Schegge”:
rispetto agli altri brani precedenti è una ballad, con alcuni bei
passaggi in diesis e un'aurea che sfiora certe sonorità alla Radiohead, ma
molto italianizzate: “Non sei mai stata mia eppure ti ritrovo in me
come un ricordo senza origine”.
Commenti
Posta un commento