Tornano
più ardimentosi che mai i Filarmonica Municipale “La Crisi” con
“Sento Cadere Qualcosa”, il nuovo disco prodotto da Alessandro
Fiori. Li abbiamo sempre definiti eclettici e talentuosi e in questo
ultimo lavoro ne danno piena conferma anche se si spingono oltre,
rischiando. Scommettendo su sé stessi in quello che è uno stato
confusionale, la poetica di Natan Zach, il congelamento emotivo, i
sentimenti stanchi che in questo lavoro vengono ben rappresentati sia
dalla ricca strumentazione da orchestrina, sia dalla voce distaccata
di Pierfrancesco Del Seppia su testi ironici ed essenziali. Riuscirli
a comprenderli non è roba da tutti, sopratutto perchè in molti
brani camminano sul filo della melodia, portando la loro musica ai
limiti. Ma a parte vacillare nell'ultimo brano, loro non cadono al di
là del titolo e come equilibristi procedono a testa dritta in
“un'allucinazione collettiva”...
“Demolizione
della terra”: inizia volontariamente cacofonica, forse troppo,
questa distruzione musicale per meglio descrivere lo sfacelo del nostro mondo. E così via di chitarre, harmonium e fiati stonati su
un testo poetico e bello da immaginare: “Attendo ancora il bacio
che mi devi come si aspettano i rastrellamenti. Non ci vedremo,
passeranno giorni, io sul divano finchè non torni”.
“Intro”:
la predica di una donna anziana, che la storia la conserva come un
tesoro, tra gli strumenti che sembrano accordarsi e raccordarsi...
“A
mezzo metro”: giocosamente cantautorale, con la voce che spicca
rispetto all'orchestrina che suona sulle vie di Parigi, ritmicamente
si muove come un mimo che non rivela mai il suo volto: “Se penso a
te rido, se penso a te dico: se un comico mi canta e ridere... il
gatto si crede padrone a farmela ancora”. Poi il brano è poesia
pura, in musica, con il flauto così leggiadro, un gran pezzo,
sbalorditivo non c'è che dire.
“Sorbetto”:
i synth sposano brevemente la sezione ritmica, dove la marimba si
diverte a far sfoggio di sé... da degustare...
“Chi
sceglie cosa”: la melodia sostenuta dall'organo, la voce eterea di
Del Seppia, in stile anni '60 italiani, la batteria sinuosa,
dispettosa si apre ancora una volta ai synth non invasivi e sembra
una marcetta: “E se adesso io decido come un bimbo non da uomo, noi
ci siamo già sposati qualche volta”...
“Io
mi procuro dei soldi”: di armonici quatti e giocosi, dove si
inseriscono sax, flauto e marimba per poi trasformarsi spettrale:
“Che ancora una volta non è cambiato niente, io ti penso più viva
che ricca, più bella di un abbraccio, migliore per me restare nelle
tue paure...”, molto “futurista” e sperimentale, ci fa
ricordare a tratti l'ultimo John De Leo...
“Negozio
di dischi”:... è una fortuna trovarne ancora qualcuno dove ci sia
un'esplosione di strumenti come in questo brano. Il lavoro fatto
dalla Filarmonica qui è lo stesso del primo brano, un caos
primordiale e la nostalgia di trascorrere un pomeriggio intero
all'interno di un negozio di dischi piuttosto che congelare i propri
stati emotivi come ci ricorda la Filarmonica: “Tu mi capisci,
sperare soltanto di dilungarmi, si stanno svuotando, la gente la
trovi negli angoli morta, smembrata nei fossi, come un negozio di
dischi...”
“Mondo
alla rinversa”: ironicamente: “Il mondo ricomincia alla rinversa,
torno indietro quando finisce la roba da mangiare, quando finisce la
roba da cucire, quando le mani son tornate tutte nere...” sax e
batteria accattivanti, cadenzanti, teatrale come la Filarmonica ci ha
abituati...
“Spara
al coniglio”: ombrosa, molto “Smells like...”, psichedelica
quanto basta, visionaria nella citazione animalesca, stonatamente
folle: “Se hai il viso stanco puoi buttarti anche via nel mare, giù
da uno scoglio, non ti sto giudicando io così non ti voglio.
“Mare
di segatura”: l'intro sovradimensionale dei tasti di Lenzi si
scontra con il ritmo beat da ballare e su cui i fiati si divertono a
confondere le idee di un amore andato via e di lacrime che “piove
sul bagnato”: “Piove in casa e non ho stucco abbastanza per
questi occhi, per gocciolare meglio... e torno a piangere da te, che
sei mia...”
“Der”:
synth sospettosi di belle aperture prog anni '70 per far prendere
fiato e ricominciare con...
“Più
di così”: un pop flessuoso con un bel "solo" distorto di chitarra ed un flauto in lontananza per ribadire che: “Non ci stiamo a
preoccupare, io e te non ci perderemo mai più di così...”
“Sento
cadere qualcosa”: flauto ed arpeggi di chitarre ipnotiche guidano
la title track in un vortice musicale...
“Io
rimango solo”: un carillon ancora una volta ammaliante e delicata
come una carezza una voce dice: “Dove scappi tu, io rimango solo
tra le pareti dell'amore nuoto. Dove scappi tu, io rimango solo”
“Mandorla
amara”: tra sonorità western esitanti intervallate dai fiati,
questa volta è la batteria a picchiare ipnotica ma solitaria la voce
canta: “Chiudo un poco gli occhi, ho visto troppi tipi svegli per
oggi”.
“E
pace”: angoscia e psichedelia chiudono l'album con una voce
femminile eterea che ha perso la fiducia in quello che la circonda:
“Fai una dedica se lo sai, io non so di niente, che sono scema e
pace. Stai come sei, mi fanno la piega e in piega è meglio stare
zitti e pace. Ma chi li garba. Ma non mi va niente, va bene così”.
Qui è solo il lavoro del violino da segnalare, può sembrare strano (o forse no) ma simula il rumore di
un letto intento ad ospitare un atto sessuale.
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