E'
uscito ieri, 13 marzo, “Lebenswelt – Il mondo della vita”, il secondo
disco de “La Madonna di MezzaStrada”, dopo che l'etichetta “La
Fame Dischi” li ha notati nel concorso “Le canzoni migliori
le aiuta La Fame”. La band perugina è nata qualche anno fa, nel
2008, ed attualmente è composta da Fabio Ripanucci (chitarra, voce e
piano), Fabrizio De Angelis (basso), Damun Miri Lavasani (piano,
synth), Luca Papalini (violino), Elis Tremamunno (violino), Franco
Pellicani (batteria). Senza dimenticare l'apporto essenziale avuto
per loro Michele Turco. Ma chi sono i “Madonna di MezzaStrada”?
Sacrali quanto basta, base post rock sui cui sperimentare, anche
minimal, senza mai abbandonare le melodie. La scelta dei volumi della
voce così priva di effetti, che crea un clima freddo, quasi
asettico, potrebbe essere penalizzante e non sempre può essere
congeniale, ma di certo non possono passare inosservati i testi che
sono spesso e volentieri immagini, scorci di vita così aspri, forti,
cantati peraltro in maniera decisamente distaccata, risultando
talvolta disarmanti... e loro stessi spiegano il significato del loro
nome: “La madonna è andata al mercato, si è fermata a metà
strada tornando a casa, Gesù Bambino muore di fame”...
“Il
mondo della vita”: giocata per accumulo, venata di sapori quasi new
wawe, così come il testo: “Le vite degli altri, la sintesi
dell'arte, le cagne, la mia continenza e il blocco dello
scrittore...”. Non è facile giocare con l'elettronica e riuscire
ad essere melodicamente trascinanti... ottimo l'apporto di Pellicani
alla batteria...
“Io”:
asciutta tra drums e piani anni '80 decisamente... “ego wave” che
dona sanguinante inquietudine ma paradossalmente anche rilassatezza:
“Il cielo e la terra che ti stringono a morsa, il cielo la terra,
il suono, le stelle che si toccano in lontananza, il cielo e la
terra, il cielo e la terra e i tuoi occhi io te li strapperei via
dalle orbite”...
“Le
vite degli altri”: più post e meno rock, dove le chitarre sono più
presenti che nei precedenti brani disegnando sonorità che assieme
alla sezione ritmica diventano eccessivamente ipnotiche, con
l'apporto di qualche ghirigoro armonico per un finale graffiante: “Di
feste serali di semplici balli, di sana ignoranza a palate”...
“Mosche”:
un piano secco crea un'atmosfera nuda e fredda, così come la voce di
Ripanucci... distorsioni lente come ferite preannunciano un testo
funereo ed essenziale: “Mosche in assedio, il morto che respira si
è già vestito a lutto”...
“Nostalgia”:
basso stanco a regalare riff e profondità al pezzo, chitarre
ritmicamente semplici ed efficaci, cavalcanti, nel contesto ironico
dei ricordi che spesso vanno cancellati: “I padri con tutti i
capelli o quasi e senza troppa pancia. Ridicoli, ridicoli, ridicoli,
ridicoliiiii”...
“Vietato
pensare”: anche qui un bell'intro di basso suonato a “mandolino”
ed il brano, uno dei migliori del disco, cresce tra i violini come
fiori tra la voce inquietante di Ripanucci... finale che si sveglia
dall'oblio: “Penso spesso alla flaccida popolazione del mio tempo,
tra le smagliature della pelle si legge il suo destino, il suo giusto
tempo...”, un tempo violento, un grunge sinfonico col violino che
entra in scena a ferire...
“Piccoli
drammi”: “Piccoli drammi borghesi non mi interessano”... lo
ripetono e lo ripetono da capogiro, rafforzativo del concetto: “Come
quel tipo che ci rimprovera che la colpa è nostra se il Paese è una
merda”. La musica fa da sfondo alle parole, tranne che nei chorus
vuoti, se così vogliamo chiamarli, con i synth in evidenza.
“Tunisia”:
un mood sinistro e “sospeso”, lievemente dissonante per il
singolo del disco, che ha un finale post rock senza mai rinunciare
alla melodia anche se il testo è recitato: “Mohamed ti guarda
diffidente ti fa appena un cenno di saluto, preferisce lanciare
occhiate al suo amico che tutti chiamano Sambuca...” storie di
spacciatori e di... “pasti offerti ai loro clienti”...
“Regione”:
ticchettii di martelli che lavorano e che usurano: “Dormo, mi
sveglio, lavoro, poi di nuovo dormo, mi sveglio, lavoro...” su un
letto di campionamenti ansiosi in stile progressive: “E adesso
tornate a morire in ufficio, stronzi!”...
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