La
giovane band sarda esce dopo un album autoprodotto con questo “Il
giardino del tempo” per Aerasonica Record, si può parlare quindi
di vero e proprio esordio, mettendo in mostra uno stile vario, ad
ampio spettro, con ottime idee in fase d’arrangiamento e un appeal
melodico non banale. Su un solido impianto rock, i “Cheyenne Last
Spirit” dimostrano di essere in grado di far propria la lezione dei
grandi per presentare adeguatamente la loro ricetta personale e
rigorosamente italiana, i Timoria di Viaggio senza vento o i
Subsonica degli esordi fanno qua e la capolino ma ciò non va a
discapito dei nostri, anche se le pecche che un lavoro come questo si
porta dietro riguardano in primis la non completa originalità della
proposta, la dove i rimandi sono evidenti e una certa ingenuità di
fondo nella scrittura, specie quando vengono trattati temi
importanti. Interessante è invece la coesione del lavoro, che scorre
in maniera fluida e piacevole, una gradevolezza pop non scontata, che
promette bene per il futuro.
“L’inizio”: traccia interamente
strumentale, dall'atmosfera bucolica, rarefatta che si evolve su un
riff smaccatamente rock supportato da una ritmica sostenuta...
“Le
nostre paure” : rock’n’roll trascinante, semplice e diretto,
con un bel testo, dal sicuro appeal radiofonico: ”Ci hanno
distrutto il futuro ti porto all'inferno credimi è un posto
sicuro”...
“La canzone del poeta”: “A volte nascondo parole
sotto le onde del mare”incedere ipnotico e cantilenante, col basso
in evidenza per un ottima apertura melodica nel ritornello: “mi
scuserai se odio la tua distanza mi scuserai se odio la tua
sufficienza” può ricordare i primi Subsonica.
“Il giardino di
Bianca”: “tu che ancora non lo sai cosa vuol dire fingere”,
ballad ariosa, ben costruita.
“Canzone del 68”: ballad di impianto
progressive, col pianoforte portante, dai toni epici e solenni:
“Canta questa canzone dipende solo da te”...
“Il viandante”: “In
un mondo di parole di chi non sa pensare” stop and go, cori, con un
bel solo di chitarra elettrica nella parte centrale, vengono in mente
i Timoria in certi passaggi...
“Maestrale”: “Vivo di sogni e
lacrime” mood sospeso, etereo che si libra nel ritornello in
falsetto, ottimamente arrangiata: “io rivedo in te la mia età”...
“Tutto normale”: “L’universo dentro se un inferno davanti a
se” buona pop song, arrangiata come si deve e di sicuro impatto.
“Le
lucciole”: il brano che non ti aspetti, uno swing divertente col
pianoforte centrale, ben sviluppato: “Sono arrivate le lucciole in
città e guardi caso non passi più qui al bar”...
“E fa male”:
“sai è bello perdersi in spazi scomodi se cercando bene trovo te”, altra ballad, abbastanza lineare nel suo dipanarsi, non aggiunge e
non toglie niente: “E fa male so che stai male e mi fa male”...
“La
mia energia”: “All'oro nero non mi arrendo” brano rock dai
profumi anni ’70, con l’uso dei cori nel ritornello, un po’
cervellotico il testo su un tema importante...
“Nero il lavoro, bianca
la morte”: “Che importa se qualcuno muore?”, altro tema
importante, sviscerato in maniera maggiormente efficace rispetto alla
traccia precedente, musicalmente siamo ancora su territori cari ai
Subsonica...
“La fine”: “Vedo il nulla nello specchio perdo il
gusto di ogni gesto come se non fossi più in me” space rock con
interessanti parti chitarristiche a chiudere “Il giardino del
tempo” in modo appropriato.
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