Con le parole di Thomas Eliot sull'opera 131 di Beethoven, nel suo rincorrersi incessante di inizio e fine, nell'importanza di essere portata a termine, si apre questo A Late Quartet, "Una Fragile Armonia", per proseguire su questa metafora e a rigor di logica matematica, che fa si che il dramma si mantenga saldo, senza scadere nel sentimentalismo, mentre accade nella storia, ciò che deve necessariamente accadere.
La crisi all'interno del microcosmo aperta dal parkinson che scopre indifeso un Crhistopher Wolken davvero intenso, è il pretesto su cui far muovere gli ingranaggi all'interno del micro cosmo, dove invidia, gelosia, fallimenti la fanno da padrone, scoperchiarne il vaso è appunto un processo matematico, tanto sono codificati gli snodi cruciali del racconto, ampiamente prevedibili e a suffragio dell'opera di Beethoven incessante e continua... a cui chiedere una pausa di riflessione, prima di ricominciare a immergersi nell'opera della propria vita... dopo aver cercato in qualche modo di cambiarla.
Il film ha il difetto di non affondare il colpo, specie nelle micro storie che lo compongono a costo di sfociare nel sentimentalismo che rifugge con tutte le sue forze, e di sfasciare una presunta unità, quasi fosse costretto... e sebbene la metafora della costrizione sia ben aderente alla storia e ai suoi personaggi, la passione invocata, non sempre viene trasmessa e la catarsi dei personaggi non è sviluppata al meglio... l'ossessione per la perfezione di cui è affetto il primo violino interpretato da Mark Ivanir, è come cristallizzata ed è proprio così che dovrebbe essere, prova ne è il risultato di quando si lascia andare nella relazione con la giovane Imogen Poots, figlia dei suoi colleghi... mentre il personaggio di Philip Seymour Hoffman: ("libera la tua passione, ci siamo noi tre a pararti il culo sai") il secondo violino ("tu sei il miglior secondo violino"), deborda spesso e volentieri, specie nella prima parte ma come la sua scappatella non viene approfondita in quanto tale rimane un personaggio irrisolto, così come la figura della moglie, Catherine Keener, avvolta dalle ombre di un passato che la vorrebbero ora figlia grata, ora amante del primo violino, ora madre fallita e ancor più moglie ma senza venirne a capo, una figura confusa e ancora una volta irrisolta, che ci potrebbe anche stare nel quadro, ma è troppo frammentaria alla fine, sterile, come è la figura della figlia dei due, lolita banale e di passaggio senza colpo ferire, non detonatore degli eventi come nelle intenzioni auspicata... l'unico personaggio a tutto tondo è appunto Crhistopher Walken che coincide pienamente col punto di vista autorale, e cioè rimane distaccato dagli eventi, al punto da esserne schifato, non invischiandosi porta avanti il parallelismo con l'opera di Beethoven nel modo più congruo possibile, esponendo il suo volto fiero come uno di Rembrandt, nonostante la fine imminente. In estrema sintesi siamo di fronte comunque a un buon film, tecnicamente ineccepibile, girato/suonato sin troppo forse con gli spartiti spalancati... per arrivare davvero agli occhi e all'anima di chi guarda.
- "Ci ho anche provato solo che non era il momento giusto,
- Mia madre dice che non esiste il momento giusto, ciò vuol dire che è sempre il momento giusto"
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