Non è un caso che i Massimo Volume aprano questo "Aspettando i Barbari" con un testo che non sia di Emidio Clementi, in quanto i nostri si prodigano a darci la soluzione in un certo modo sin dall'inizio "vince chi resiste" e pongono già in essere la necessità di uno sguardo "altro" (gli innumerevoli personaggi presenti nel disco, come "i lumi che accendiamo per nascondere noi stessi") che è per certi versi la cifra stilistica di tutto l'album, che possa ricongiungersi idealmente con tutto quello da rispedire al mittente nella conclusiva "Da dove sono stato": "Vi lascio e corro incontro ai giorni che mi spettano le carte appese al petto e una versione di riserva per tutte le strofe uscite male e le frasi sbagliate che nessuno potrà più cancellare" ma nell'attesa che i barbari arrivino una volta per tutte, perchè è palese che siano già tra di noi, l'opera di Ryan Mendoza che fa da copertina è alquanto esplicativa in tal senso, basta notare lo sguardo della sorella maggiore. I Massimo Volume sfornano un disco intenso, ricco di riferimenti, di citazioni, di storie da raccontare come esempio, monito, avviso ai naviganti, dove il furore, la rabbia, sembrano quasi implodere musicalmente, l'incedere è spesso alquanto sinistro e solenne, il sound è spigoloso, è uno scavare nel buio, nelle contraddizioni, nelle confusioni, tra ricordi, fotografie, i punti di vista e le vite degli altri che fanno da morale... per una nuova speranza e consapevolezza, in una parola "resistenza" e i Massimo Volume "resistono" che è un vero piacere:
"Dio delle zecche": da una poesia di Danilo Dolci, minacciosa, marziale, con una seconda parte dove la voce di Emidio Clementi si fa più evocativa:
"vince chi resiste, alle tentazioni, chi cerca di non smarrire il senso, la direzione, vince chi non si illude, noi che accendiamo lumi, per nasconderci le luci"
"La cena": il primo singolo estratto, dove un ricordo d'infanzia, si snoda in una richiesta quasi d'aiuto per ritrovare la direzione smarrita in una parola buona, si dipana nervosa tra bagliori lontani di melodia, cinematografica alquanto:
"Se penso a te ti vedo in via dei tigli, lo sguardo chiuso contro il cielo azzurro, io sono l’altro, lui che volta le spalle, bruciato di luce, confuso nel paesaggio... e senza dare nell’occhio, esco fuori dall’inquadratura devoto a nessuno, votato alla fuga"
"Aspettando i barbari": rimpianti e delusioni contro la speranza, un processo ineluttabile, la title track che è anche uno dei vertici dell'album, è oscura, avvolgente e ammaliante:
"nel sonno le tue braccia sembrano ali stanche in fuga dai barbari, lo so, non era questo il vino promesso, gli inviti, i fiori, le risate... ma stanotte la notte è una lama illuminata che taglia il buio e la paura e punta avanti dove tutto riposa immacolato e giusto e nostro e puro prima dell’arrivo dei barbari"
"Vic Chesnutt": chitarre disturbanti in un mood sospeso dal ritmo lento e cadenzato, per una sorta di mantra narcotico con il ricordo della vita del cantautore "maudit" americano a far da monito:
"ricordati di Chesnutt quando il suono stride, ricordati di Chesnutt quando la linea trema, ricordati di Chesnutt una corona di spine poggiata sul palco tra la chitarra e le spie"
"Dymaxion Song": con un ritornello quasi cantato è una delle tracce più immediate nonostante il vortice cupo in cui è immersa, un mix che si sposa ottimamente con il testo che incomincia con una citazione di John Cage "Contenitori che perdono acqua noi siamo nuotiamo e ogni tanto affoghiamo" ed è dedicato alla figura di Buckminster Füller, "uno che ha preso a calci in culo la prudenza e la ragionevolezza, per spingersi dove la prudenza e la ragionevolezza sarebbero stati solo d’impiccio" dice lo stesso Clementi:
"Rendi il mondo vecchio, rendi il mondo un cerchio, rendi il mondo al caso, rendilo uno scherzo, rendi onore ai vivi, rendi gloria al nulla, ricordati di Alexandra e offri un giro alla fortuna ti piaccia o no"
"La notte": "e io? io aspetto qui e mi affido alla notte che confonde le tracce, che nasconde i rifiuti, che ritorna costante..." sul basso martellante e le stoppate e i riff di chitarra elettrica... è uno dei brani più vicini alla produzione passata dei Massimo Volume ed è anche uno dei migliori dell'album, meno criptico e più diretto, istantanee scattate a vecchi amici per guardarsi "meglio di uno specchio":
"Mirko è caduto sul più bello scivolato all’improvviso a una banale svolta del destino ora vive con sua sorella la sera siede fuori, sui gradini la vita s’è rotta dammi una moneta grida a Elena e agli altri vicini e io? Io aspetto qui dove la vista rassicura
"Compound": "Da quanto tempo siamo qui?" altra traccia oscura e sinistra, convulsa, con il lavoro delle chitarre elettriche in evidenza... non poteva essere altrimenti visto la storia narrata:
"gli uccelli sul tetto stanotte frugano tra le rovine del nostro mondo perfetto"
"Silvia Camagni": (che in passato ha collaborato coi Massimo Volume), impeto e urgenza narrativa con ancora le chitarre elettriche a infarcire la trama, per un finale strumentale rarefatto e dilatato, come buio che sembra scavare nel vuoto, anche per questo brano il sound è in pieno stile Massimo Volume:"si lasciarono la mattina dopo a un incrocio senza niente da dirsi giusto un gesto del capo si lasciarono come tutte le cose destinate a dividersi come il mare e la terra come gli amanti di un’ora"
"Il nemico avanza": "pura tensione", con tanto di citazione di Mao Tse Tung: "Il nemico avanza, noi ci ritiriamo, il nemico si accampa, noi lo tormentiamo, il nemico è stanco, noi lo attacchiamo, il nemico arretra, noi lo bracchiamo"
"Da dove sono stato": “noi siamo o non siamo siamo o non siamo noi siamo o non siamo socialmente parlando” ancora John Cage citato, il brano è un moto perpetuo come l'elenco cantato per uno splendido finale altamente suggestivo: "io vi saluto e mi inchino io vi saluto e pieno di rispetto vi dico addio"
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