Un Giuseppe Pambieri in ottima forma, fresco dei suoi 68 anni festeggiati domenica, ha incantato il pubblico del Baluardo Velasco di Marsala http://www.baluardovelasco.it in ben due spettacoli, portando in scena con maestria ed esperienza la “Metamorfosi” kafkiana.
Lo abbiamo incontrato per l'occasione e ci ha raccontato un po' di lui, dei suoi oltre 40 anni sui palchi d'Italia.
Dal Piccolo Teatro di Milano ne è passato di tempo. Lei oggi è il teatro italiano. Ma com'è cambiato il teatro dalla metà degli anni '60 ad oggi?
“C'era sicuramente più lavoro, partivi in giro per l'Italia per 6 mesi, facevi la valigia e non tornavi a casa, come feci in “Mosche” o nella “Bisbetica domata” ed in altri spettacoli. Oggi se si parte in tourneè 2-3 mesi è tanto, poi se lo spettacolo non è molto noto è ancora peggio. Colpa dei tagli, del berlusconismo che abbiamo avuto per 20 anni e della falsa credenza che il teatro e l'arte debbano vivere da sé. La situazione oggi è drammatica ma sono ottimista: se fai spettacoli con bravi attori la gente viene a vederli”.
Ha lavorato con grandi attori, come sua moglie Lia Tanzi, ha iniziato a 23 anni da vero “predestinato” con Strehler, con Zeffirelli. Cosa gli hanno dato e chi ricorda con più affetto?
“Mi hanno dato tanto, hanno formato il mio bagaglio, soprattutto Enriquez. Lui mi diceva “tu puoi fare tutto”... come accadde nell'Ippolito al teatro greco di Siracusa. Dovevo salire in sella al cavallo ed ero spaventato, ma Enriquez mi disse “tu puoi fare tutto, vai Pambieri”, io salì in sella al cavallo che imbizzarritosi mi disarcionò”.
Di recente ha portato in scena “Clizia” di Macchiavelli, “La metamorfosi” di Kafka, adesso anche “La coscienza di Zeno” di Svevo. Cosa lo ha convinto a rappresentare “Genio e sregolatezza” di Claudio Forti?
“Questo lavoro, che racconta la vita del più grande attore inglese Edmund Kean era stato fatto da Proietti in precedenza e da Zanetti che lavorò con Claudio. Mi piaceva il personaggio, un genio sul palco e un disastro nella vita; morì infatti distrutto dall'alcol e dagli scandali”.
Inizialmente non era prevista la presenza di una donna nel testo di Forti. Ma poi entrò a farne parte sua moglie.
“Fu la compagnia teatrale di Roma che volle così. Venivamo da uno spettacolo insieme che aveva riscosso successo e subentrò lei nella veste della moglie di Kean, una donna austera che aveva un ottimo rapporto con il marito nonostante lui avesse molte amanti”.
Sia in “La metamorfosi” che in “La coscienza di Zeno”, porta in scena il diverso, il malato, colui che vive fuori dalla società che non riesce a dare gioie e soddisfazioni. Quanto c'è dell'Italia di oggi?
“Ne “La coscienza di Zeno”, il diverso vince sui “normali” che non riescono a vedere i cambiamenti della storia, mentre Zeno prediceva, vedeva la bomba atomica, la sua malattia era la vita. In “La metamorfosi” invece, il protagonista fa fatica ad inserirsi nel mondo ed una mattina si sveglia scarafaggio; ma tutto ciò Kafka lo descrive come se fosse qualcosa di assolutamente normale. In realtà la metamorfosi avviene nella sua famiglia che lo emargina e ciò lo porterà alla morte. Un altro che scriveva sulla linea di Kafka, era Buzzati, anche se era più fantastico. In queste opere c'è l'egoismo, c'è il rifiuto del diverso, una chiave di volta attuale. In Italia si fischia ancora il calciatore di colore, si discrimina il gay”.
Lei nota un avvicinarsi dei giovani al teatro, che è visto come una forma d'arte per pochi e per “adulti”?
“In Italia è così, nei paesi anglosassoni per i giovani il teatro è formazione, esperienza, stimola la fantasia; ho visto donne andare a teatro con la borsa della spesa”.
Lei ha detto di quanto sia difficile, per un attore, liberarsi dal proprio personaggio. Le è mai capitato?
“A me non è mai capitato. Io quando finisco il mio lavoro, ho la mia vita, la mia famiglia, gli hobby, il calcio, non sono un fanatico. Io mi diverto quando recito, mi approccio al teatro liberamente e con leggerezza, così si diventa un bravo attore; appesantirsi troppo è sbagliato”
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