Sarebbe buona prassi quando ci si accinge ad ascoltare un disco frenare, per quanto sia possibile, la tentazione di scoprirne il contenuto ed indugiare un pochino sul suo titolo.
Vi siete mai chiesti cosa sia effettivamente un racconto? Molti potrebbero pensare di primo acchitto ad una storiella o ad un aneddoto. Non sbaglierebbero di molto, non fosse altro per il fatto che in realtà il racconto è un’insieme di narrazioni, di aneddoti appunto che hanno un legame strettissimo l’uno con l’altro, un'unica storia insomma, un’immagine unitaria di ciò che è il pensiero, intimo e profondo, dell’autore.
L’aneddoto poi è un termine di origine greca che era riferito a cose o a scritture “segrete”. Oggi diremmo “inedite”.
Bene, il ricamo sembra essere imbastito. Pierpaolo già dal titolo ci sta invitando a scoprire ciò che si cela in questi “otto brevi racconti” come se in realtà fossero uno solo. Dovremo però soffermarci sulle parole ancor di più che sulla musica (un racconto in fondo è fatto di queste) per poi risalire al significato ultimo che ci vuole trasmettere. Fino a creare un’immagine dentro di noi, un quadro che sia chiaro e delineato, e che altro non è se non il suo pensiero. Infine potremmo tentare di vedere attraverso i suoi occhi ciò che lui stesso ha visto e sentito e che lo ha spinto a mettere in musica frammenti di sé.
Prima di passare in rassegna i brani, vi lasciamo il link per ascoltare l'album:
“Solo” è il primo racconto. Una parola che come un macigno si pone all’inizio di questo percorso. Ed è proprio la sensazione di solitudine quella che un uomo si porta dentro quando ad un certo punto della propria vita prova a tirare le somme, quando sa di aver compiuto delle scelte e ne accetta le conseguenze, quando si guarda indietro e vede pezzi della sua vita chiedendosi come sarebbe stato, quando guarda al futuro e si chiede ciò che sarà.
Ma non c’è disorientamento in tutto ciò. Piuttosto c’è un aura di serena consapevolezza scandita dall’incedere calmo e costante di arpeggi acustici leggeri, quasi fluttuanti, che si sdoppiano, si moltiplicano e s’intersecano con la melodia della voce, profonda, intensa e sicura.
Il secondo racconto s’intitola “Angela”. Anche qui individuiamo degli elementi che si riallacciano al primo. L’amore, la solitudine, il dolore. Una solitudine forzata questa volta, uno struggimento che non si può placare. Angela e Vincenzo sono costretti, seppur amandosi, a non potersi vivere. Le lacrime sembrano essere l’unica sfogo, l’unica consolazione. In realtà il dolore e talmente forte da suggerire un’alternativa, ancor più tragica di quanto già non sia l’esistenza. La musica ci trae in inganno. L’arpeggio iniziale ci proietta dentro il brano senza farci subire un brusco distacco con la precedente. In realtà è un attimo e ci troviamo sbalzati dentro un’atmosfera dai contorni country-western.
Il terzo racconto è “La canzone degli amanti”. Un inno al turbinio della passione e dell’amore fuggiasco, impossibile, dannato e peccatore, che travolge l’anima, il corpo e i sensi. Ciò che però colpisce più di tutto in questo brano è la musica, vera protagonista. Ritmo pari e dispari che si alternano, ambientazioni funky rock che a tratti sembrano confondersi con l’acid jazz, marcano la distanza con i due brani precedenti. Il basso, sempre presente, mantiene il groove incessante e dinamico mentre le tastiere giocano in canone con le chitarre distorte, taglienti, per poi creare effetti noise e allucinazioni psichedeliche. Una vera esplosione sonora. Ma siamo già al prossimo brano.
Il quarto racconto si chiama “Joshua”. Le chitarre tornano agli arpeggi iniziali, scintillanti e sognanti. L’aria torna a farsi leggera e serena.
Joshua naviga in un mare “…nero, freddo e ruvido…” metafora dell’incertezza della vita che cerca disperatamente un appiglio, una risposta, una certezza.
Questo brano, come il primo sono finestre che Pierpaolo apre dentro sé e ci permette di guardare dentro. Sono un tuffo nel suo mondo, un volo tra i suoi pensieri.
Il brano s’impreziosisce ulteriormente con la presenza di Carmelo Pipitone dei “Marta sui Tubi” che con la sua voce graffiata e potente mantiene un controcanto unico ed inimitabile.
“C’è un mondo” è il quinto racconto. Una melodia dolcissima, intensa e avvolgente. Questa volta protagonisti sono due occhi teneri e innocenti a cui Pierpaolo prova a spiegare la vita. A cui prova a nascondere se stesso e il suo vissuto, la sua strada, il dolore e le pene che si provano nel rimpianto e nella solitudine. E’ una sorta di protezione nei confronti di un amore assoluto, pulito e fragile a cui si vorrebbe risparmiare la sofferenza interiore, gli interrogativi e i rimpianti e a cui si vorrebbe donare la gioia e la spensieratezza.
“Due merli” è il sesto racconto. Un blues d’introduzione chitarra/banjo si trasforma di colpo in uno stornello amoroso. Un “divertissement”, si direbbe, che tratta di due innamorati che soffrono le pene d’amore causate dalla distanza.
Il settimo racconto è “Croce del Sud”. Una ballata intensa e ed evocativa. Racchiuso in questo brano si sentono echi lontani, sonorità psichedeliche e influssi della migliore tradizione cantautorale italiana. Il tema del viaggio è l’aspetto centrale del pezzo. Un viaggio per allontanarsi da “… una vita
sterile…”, che non produce più emozioni e sensazioni.
Questo pezzo sembra racchiudere ciò che è l’essenza del disco e rappresenta esattamente quel filo conduttore a cui si accennava prima. Quella linea sottile, quel legame che fanno di questi racconti un unicum potente ed espressivo.
L’’ottavo e ultimo racconta s’intitola “Piante carnivore”. Quest’ultimo brano raccoglie l’intensità dell’intero lavoro. Il sogno, il dolore, la solitudine, l’amore, la passione, tutti gli elementi che abbiamo intravisto in questo nostro viaggio attraverso il mondo di Pierpaolo. Il ritmo che sostiene il brano sembra uscire fuori direttamente dagli anni ’70 e dalla migliore tradizione musicale italiana.
In questo frangente si chiarisce un’idea, si matura un pensiero, si delinea un quadro e la sua immagine.
Le domande e i perché di un uomo che fa i conti con se stesso trovano risposta nell’unica, inevitabile, risposta possibile tra le migliaia: la donna e il suo amore.
Tutti i tormenti che un uomo può provare nascono, crescono e si annullano dentro l’amore che si può provare per la donna amata, o per quella che non si ama più o per l’amore idealizzato e mai avuto. Pierpaolo ci racconta questo.
Il suo personale viaggio tra i perché della vita e le poche certezze trova consolazione e libertà nell’abbraccio finale con la donna amata alla quale chiede “… se c’è un posto dove non c’è posto per le lacrime, dove non coltivare il seme dell’addio …”.
Commenti
Posta un commento