Questo dolce museo - Alessandro Fiori



 Questo dolce museo è il secondo lavoro solista di Alessandro Fiori ed è anche il rifugio incantato perso nella memoria che il nostro ha custodito fin ora, celato o appena intravisto sin dai Mariposa al suo esordio, tra i suoni irriverenti da giocattolaio pop per antonomasia, "Questo dolce museo" è il tempo dell'infanzia, dello stupore a cui Fiori cerca di far ritorno, per farsi riparo, dall'età adulta e da tutto quello che essa comporta, dalle responsabilità, dalle insicurezze d'amore, dal senso di caducità e dalla morte vera e propria... inevitabile spogliare i suoni, ineluttabile "giocare meno", guardandosi indietro... restando su questo versante, dal punto di vista musicale il nostro dà ampia prova di grande maestria, ovvero di come si possa aderire a una struttura consolidata senza snaturarla rendendola originale, arricchendola infinitamente con una nonchalance che è solo dei grandi.
Tornando ai temi del disco, il punto di vista, lo sguardo è appunto "dolce", tenero, ci sono degli snodi narrativi all'interno dell'album dove è l'amarezza, quasi la rassegnazione a prevalere, ma siamo di fronte a un viaggio, a una catarsi da compiere e ci sono scogli che ti si parano di fronte senza che tu possa schivarli e devi soltanto "sbatterci la testa più volte"... eppure la dolcezza, la purezza dello sguardo rimane intatta alla fine, la bellezza è preservata ed è per questo che la Tigre è di nuovo in strada:

"Scusami": se ti ho svegliata per vedere un alba del cazzo"... deliziosa filastrocca ad alto tasso ironico, con una parte strumentale "sognante" che è funzionale all'introduzione dei temi dell'album, ovvero l'incanto, lo stupore del bambino di ieri visto dall'adulto di oggi, questo dolce museo appunto:
"scusami mi son permesso solo di farti un regalo
l’unico possibile col mio cachet"

"Giornata d'inverno": nostalgia e piglio cantautorale, chitarra acustica e piano dissonante il giusto, per ricordare forse con un pizzico di amarezza misto a tenerezza il tempo che è passato:
"t’auguro una bella giornata d’inverno
come quando s’infilava tutti e tre nel lettone
in tv c’era Seymandi e tu mi proteggevi
da quel freddo strano e dal supertelegattone"

"Ti annunci piangendo": ".. e sei già qui come un regalo"... ritmica trascinante e incisiva, tesa l'atmosfera coi violini sugli scudi, crudo il testo, carico di ironia feroce, uno dei picchi dell'album:
"tanto vale maledire i santi
nell’attesa delle lacrime
così per il vezzo dei bei pianti
tanto vale scongiurare smarrimenti poderosi
amandoti più o meno come farebbe un cane"

"Coprimi":suadente e ipnotica nel suo incedere minimal, una sorta di ninna nanna e urgente voglia/richiesta di dolcezza che fa da contraltare all'asprezza della traccia precedente, come se il nostro cercasse un riparo, una difesa proprio in quel buio che dà bambino faceva paura:
"coprimi col tuo corpo bianco
bianco lenzuolo
lascia il resto al mago adesso sarò un prato
mi vedi?"

"Il vento" :"... non è invisibile per niente, noi diciamo che è invisibile per comodità"...  la traccia trainante dell'ep che ha preceduto l'album non a caso, un incedere assolutamente accattivante dall'aria "fintamente" rassicurante, che sai che sta per rivelarsi da un momento all'altro, che procede scanzonato e complice con l'arrangiamento scarno dove si inseriscono gli strumenti, quasi chiedendo permesso, sfociando nella malinconia, geniale:
"un posto senza vento ha soltanto un odore, un cuore senza vento è un cuore senza amore"

"Il gusto di dormire in diagonale": "di ritornar bambino, di non andare a scuola..." una piccolo grande gioellino pop, immerso nei ricordi di bambino, con un ritornello che non va più via dopo due ascolti:
"portami a fare una mostra personale
sul degrado ambientale
delle spiagge del mio cuore
portami a fare una lastra pettorale
per verificare se ancora ci sei tu"

"Mi hai amato soltanto": il solito incedere scanzonato e apparentemente semplice condito da vari orpelli strumentali dove il nostro svela tutte le sue insicurezze con lucida disamina:
"come se avesse data di scadenza
il tuo avermi accettato
e intanto mi domando
perché quello schianto mi ha salvato?
mentre tu mi hai amato soltanto"

"Bambina": una delle tracce più cupe e criptiche dell'album, l'atmosfera, il sound e il testo fanno propendere per un qualcosa di luttuoso... e nell'immaginario del disco "la morte della bambina" è di facile comprensione:
"meno male che a quel corpo
non mancherà un sorriso
tiepido come il letargo
nascosto mezzo palmo sotto il viso"

"Via da industria": ballad pop in piena regola, chiara, limpida, pulita (beatlesiana a tratti) senza suoni o accorgimenti stavolta a distogliere l'attenzione o a camuffare l'orecchiabilità del brano, con le chitarre acustiche in evidenza, il tutto insomma è lineare e scorrevole in perfetta antitesi al testo, che fa quasi un punto sui discorsi intrapresi fin ora e ci lascia la consapevolezza che "dallo zoo la tigre è uscita e presto sarà in strada":  
"mi son spaccato la testa
perché non ho il coraggio
di guardarci dentro"

"Sandro Neri": sentita dedica all'amico scomparso, una sorta di talkin'blues, senza pietismo, con lucida ironia e disincanto culminante nella frase che chiude il brano:
"anche mia madre
è morta di cirrosi epatica
m’hai detto
stavolta smetto di bere
nemmeno l’ultimo bicchiere
ho visto Gesù"

"Tigre in strada" : la traccia inizia con i mugolii di un bimbo, l'andamento è da filastrocca, l'atmosfera è giocosa... chiaramente è la vita che nasce, è un nuovo inizio, la chiusura di un cerchio, "via da industria" "la tigre è in strada"
"le schiene si scollano
rimangono le traverse illuminate dai lampioni
guarda passa anche la neve!"

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