I Med in Itali ne hanno fatta di strada e non solo metaforicamente e questo primo album ufficiale è il giusto compendio e riconoscimento per i tanti km percorsi, dove la canzone d'autore "destrutturata" di Niccolò Maffei, chitarra e voce e Matteo Bessone alla batteria, rincorre le alchimie jazz di Matteo Negrin, alla chitarra e Luca Begonia al filicorno e alla tromba con l'apporto agli arrangiamenti ai fiati di Amedeo Spagnolo e Josh Sanfelici.
"Coltivare piante grasse" è un ottimo biglietto di presentazione dove il gruppo dà l'idea di poter migliorare ulteriormente, magari sbizzarrendosi un pò di più nelle parti strumentali finali che lasciano solo intravedere le potenzialità di questa formazione, che fa della varietà di registri e toni il suo punto di forza oltre a una scrittura essenziale, semplice ma coinvolgente, lo ascoltate qua:
"Perle umide": "sai che sono cresciuto in cattività, ciò che provo per te è cosa nuova"... tra "tempi complessi" e cambi repentini, con le chitarre acustiche che sembrano volere prendere a schiaffi l'ascoltatore, del resto "tu non sai difenderti"... molto interessanti e ben costruiti risultano gli inserti strumentali, ottimo il testo, davvero azzeccato e l'arrangiamento, che evidenzia l'incedere "sensuale" del brano:
"sai che colleziono sentimenti semplici e di per se amarti non è facile"
"7 fiori": divertente e giocosa l'atmosfera, colorato, "confuso" e ricco il sound che ricalca a grandi linee l'approccio al brano precedente, anche in questo caso il risultato è ampiamente godibile:
"era solo indecisione amore"
"Piante grasse": un pò London Calling nella strofa e un pò Celentano nella tematica ambientalista, suggestive le variazioni di tono del ritornello e le armonie vocali:
"parlami di come noi abbiamo toccato il fondo e ora non stiamo risalendo"
"Non mi stanco": "... di cercati nei miei pensieri" ... l'approccio scarno e il piglio del cantato ricordano forse un pò troppo i primi Marta sui Tubi, la traccia si sviluppa così fino al finale col bridge che potrebbe essere sviluppato maggiormente:
"le notti si allungano e io dormo a stento..."
"Musicista precario": "continuerai a dire che va bene fare il concerto e pagarti da bere"... trame "ardite" di chitarra acustica e ritmiche scomposte coi fiati sempre pronti a intervenire, il tutto con ottime aperture melodiche... i nostri nel complesso forse avrebbero anche potuto osare di più dal punto di vista strettamente musicale, dando ampio sfogo strumentale:
"continuiamo a farci del male che tanto è normale"
"Schiava di un'idea": "... che non ti appartiene più"... i ritmi rallentano per un mood suadente e retrò, jazzato e coinvolgente, coi fiati a svisare nelle strofe e a ritagliarsi il giusto momento di gloria nei soli... uno dei picchi dell'album:
"il tuo lento stanco vagare non significa saggezza ormai"
"Cambiato sono": atmosfere easy listening vintage assolutamente coinvolgenti come un motivetto da fischiettare, aggiungete un testo intelligente e ironico e un arrangiamento delicato e avvolgente al tempo stesso:
"di dubbi anestetici non ne possiedo più"
"Mia identità": vale il discorso fatto per "Non mi stanco" ovvero una certa somiglianza coi Marta sui Tubi, rispetto al brano precedente però qui i nostri tessono un tessuto strumentale come chiosa finale sullo stile dei Jethro Tull che non dispiace affatto anzi pensiamo che sia proprio questa una possibilità da non trascurare per la band nel futuro:
"usare il mio pensiero è sempre più difficile stufato e impigrito da storia appositamente confezionate"
"Rabbia": ritmiche latine e sali scendi di toni per la traccia più cupa del lotto che ha un incedere incalzante ma che tuttavia non esplode del tutto, appunto come il testo suggerisce "rabbia mal celata e costretta a raggelarsi":
"piangi silenziosamente in modo che la gente non ti senta e nascondi i tuoi pensieri nel silenzio"
"La luce del sole": "elabora il tormento e mi amerai"... un tema blues che si evolve pian piano e procede di pari passo e trova respiro melodico nel ritornello e nei sempre ottimi inserti strumentali dei fiati:
"mantieni il desiderio lo soddisferò"
"Svanita paura": la traccia finale è un pò l'emblema del percorso del gruppo, dove la canzone d'autore "sghemba" e rigorosamente acustica incontra il jazz acquisendo nuovi sapori per regalarne agli ascoltatori:
" i segni si distinguono sono macchie luminose in un'oscura pianura, è svanita la mia paura"
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