Marziali, ipnotici, stranianti, eppur misurati, tendenti all’essenziale, a una forma canzone comunque ben riconoscibile... mischiando new wawe, psichedelia e post punk in arrangiamenti mai banali... viscerali e crudi nei testi dove quasi senza accorgersene i nostri regalano stralci di poesia... a chiudere il tutto prima di far la somma metteteci una spruzzata inevitabile di Zen Circus che aleggiano qua e là, per tematiche e cantato, uso dei cori compresi... senza dimenticare che è il primo album in italiano della creatura di Francesco Motta... c’è da andarne soddisfatti:
“Bestie”: marcia ipnotica e funerea, colorata di suoni minimal e coretti irridenti... corrosivo il testo:
“la fine che ci meritiamo è il niente”
“Fango”: quasi il proseguimento della traccia precedente, per quanto riguarda l’incedere martellante, con l’aggiunta di chitarra acustica e armonica:
“la nostra città è ormai coperta dal fango”
“Quando arriva la bomba”: “per terra come dei cani per poi mangiarsi le stelle”... tutta giocata sui botta e risposta delle voci su una linea accattivante che sfocia in un ritornello semplice ma azzeccato:
“scappare per non sentire le rane dentro la pancia”
“Da solo non basti”: un’elettronica “vintage” che si fa apprezzare specie per quanto riguarda la ritmica e gli inserti strumentali, il ritornello non convince in toto, mentre il testo regala ottimi spunti come il seguente passaggio:
“pensi che basta essere matti per fare i salti più alti nella tua stanza i soffitti non sono mai stati alti”
“Cambio la faccia”: atmosfere oblique e sinuose, con le chitarre in evidenza... per un testo che richiama “Fango”, c’è da segnalare un suggestivo finale a tinte fosche psichedeliche:
“in fondo al mare mi sono perso, io sono un pesce nell’universo”
“Lendra”: “non piangere che si bagnano le nuvole, pensa a correre sulle nostre lacrime”... su un riff di basso e ritmiche incisive, sono i cori a rilasciare una sensazione di straniamento e piacevolezza nel ritornello che si apre come meglio non potrebbe, una delle tracce migliori del lotto:
“abbiamo provato cosa vuol dire l’inferno Lendra non piangere siamo morti da tempo”
“Tacchi alti” : “io che ho sempre tacchi alti, adesso sento male se... proviamo a camminare scalzi, siamo costretti a perdere”... melodia e gusto anni 80 negli inserti strumentali di tastiere e chitarre, per un brano pop alla Zen Circus per così dire (il ritornello è alquanto esplicativo) che narra con immagini vivide la fine di una storia d’amore:
“questa casa ormai puzza di ombre sono mesi che non riesco a dormire”
“Adesso mi alzo”: “ti guardo dall’alto, ti uccido e poi penso...” strumentalmente molto ricca, la traccia riassume in se molte delle peculiarità del gruppo presenti nell’album, su tutte il particolare gusto per “frasi ripetitive” sia esse strumentali che testuali, che vengono “disturbate” con garbo e senso della struttura, il risultato produce come scrivevamo prima, una sensazione straniante che non dispiace affatto, anche perchè i nostri dimostrano di sapere ben dosare gli ingredienti :
“che bisogno c’è, non piangere... mi son scordato di avere le mani”
“Occhi bianchi”: “e gli dei sono pezzi di carta e se finisse il mondo andremo indietro nel tempo, madre dagli occhi bianchi costringici a rimaner fermi”... profumi anni ‘70 per questa ballad “epica e avvolgente” che può contare su uno dei testi più suggestivi:
“e quando finisce il mare continui a guardarlo per ore”
“Nel centro del mondo”: un’elegia disturbata che non concede pause chiude degnamente questo album:
“adesso ricordo che tua madre era parte di me, figlio del mondo, figlio di lei, figlio del mare, figlio di te”
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